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Regno Unito, chi (non) tifa per l’uscita dall’Ue tra i Tory

Per anni Michael Heseltine (nella foto) è stato il politico più acclamato alle Conference del Partito Conservatore. Grande oratore, forte presenza sul palco, sense of humour tipicamente britannico: i fedelissimi Tories impazzivano quando prendeva la parola per inveire contro i laburisti, vecchi e nuovi. Poi, quando dopo 11 anni il regno di Margaret Thatcher finì, fu lo stesso Heseltine – soprannome di battaglia: Tarzan – a essere indicato come capo dei cospiratori, per via della sua smoderata ambizione, che lo portò, ai tempi del College, a disegnare sul tovagliolo di un pub i vari step della sua futura carriera. Uno solo è stato il punto fermo della sua vita politica: l’essere pro-Europa in un Partito che dagli anni Ottanta in poi ha riservato non poche stilettate a Bruxelles e ai più convinti federalisti tra i politici inglesi e Continentali.

Ora, l’ormai Lord Heseltine, torna a farsi sentire da dietro le quinte del Partito, dove continua a essere uno dei senior più apprezzati per via della sua esperienza e della sua capacità comunicativa. Non sono più i tempi in cui annunciò in diretta per strada a un cronista le sue dimissioni dal secondo governo Thatcher dopo un forte alterco sulla vendita degli elicotteri della Westland, e nemmeno quelli in cui si mise a fare il Minister for Liverpool, per opporsi all’ortodossia thatcheriana che vedeva nella città del fiume Mersey tutto ciò che di male c’era nella Gran Bretagna schiacciata dalla disoccupazione, dallo strapotere dei sindacati e da un welfare che tutelava i fannulloni e non le fasce più deboli della popolazione.

Ora Heseltine è tornato sul suo vecchio cavallo di battaglia, l’appartenenza del Regno Unito all’Europa, e ha avvertito il premier David Cameron: “Se lascerai libertà di voto ai tuoi ministri nel referendum il tuo partito e il tuo governo imploderanno e politicamente farai una figura ridicola”. Parole forti, che arrivano mentre l’attuale leader Tory si sta muovendo da equilibrista per tenere a bada l’ala euroscettica del Partito – meno organizzata rispetto ai tempi della ratifica del Trattato di Maastricht ma pur sempre consistente all’interno dei Conservatori – le accuse da parte dello UKIP di essere troppo molle con Bruxelles, e la trattativa – per nulla facile – con le istituzioni europee per portare a casa le sue richieste di modo da presentarsi al referendum in or out e fare campagna perché il Regno Unito resti nell’Unione.

Heseltine, convinto che la permanenza della Gran Bretagna nell’UE sia fondamentale per il Paese, ha affermato che “lo spettacolo di Ministri seduti al tavolo del governo e che si guardano in cagnesco perché su opinioni opposte riguardo al tema, non è augurabile per il Primo Ministro” – e che – “se alcuni membri del Governo sono in forte disaccordo sul tema, devono dimettersi immediatamente”.

Cameron sta affrontando le richieste che gli giungono da più parti per lasciare libertà di fare campagna per l’in o per l’out al referendum ai suoi ministri.

Alcune figure chiave del suo esecutivo, come l’ex leader Tory e ora Ministro del Lavoro, Iain Duncan Smith , il Ministro dell’Interno, Theresa May, e l’ormai quasi ex Sindaco di Londra, Boris Johnson, starebbero pensando di fare campagna per l’out. Secondo il Times, resosi conto della situazione esplosiva in seno al Governo, Cameron avrebbe già avuto dei colloqui faccia-a-faccia con il Ministro per l’Irlanda del Nord, Theresa Villiers, e con quello della Giustizia, Michael Gove, per mantenere l’unità nel Governo.

Resta molto difficile pensare che questa volta, come ai tempi di John Major, i Tories premeranno il pulsante dell’auto-distruzione. All’orizzonte poi, non si vede il New Labour ma l’Old Labour di Jeremy Corbyn, e pure i laburisti sembrano più interessati alle loro beghe interne – leggi: come fare fuori Corbyn prima che sia troppo tardi – che non a incalzare il Premier sull’Europa.

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