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La frana in Cina è anche il simbolo di un’idiozia suicida

pechino

C’è qualcosa di tragicamente simbolico nella biblica frana che ieri in Cina, nella regione di Shenzhen, ha sepolto in pochi attimi i capannoni di una zona industriale, decine di palazzi abitati dalla gente che ci lavorava e un numero ancora imprecisato di vittime. Fermiamoci a pensare: a venire giù è stata la collina artificiale creata con la terra dei massicci sbancamenti fatti per erigere in fretta quelle fabbriche e quelle case nel nome di un avido e disumano capitalcomunismo; mentre a farla scivolare a valle è stato l’aumento innaturale delle precipitazioni piovose dovuto alle alterazioni climatiche create dal combinato disposto della devastazione delle foreste pluviali asiatiche e dell’inquinamento ambientale.

Questa frana è insomma il simbolo della sciagurata idiozia suicida, ma purtroppo anche impunemente omicida, nella quale è scivolato (anch’esso) l’ormai sedicente “Libero Mercato”; che di libero non ha invece più nulla, se non l’arbitrio – nei fatti criminale – di quei sempre più “pochi” che continuano ad arricchirsi sulla pelle, sulla salute e sul sudore di chi invece, per converso, va a gonfiare via via il numero dei “molti”. E che si tratti di “molti” vivi, oppure defunti, poco conta per Lorsignori; sì, per quei pochi che appunto, in nome del loro esclusivo profitto stanno distruggendo il mondo e l’umanità con una sequenza di delitti seriali concatenati in modo perfetto: sono le battaglie quotidiane di una terza guerra mondiale non dichiarata, invisibile, senza eserciti schierati né tagliagole in nero che semmai, guarda caso – pensiamo anche a questo! – fanno il gioco dei manovratori in quanto spaventano e distraggono l’opinione pubblica.

E così via che si va, radendo al suolo in Asia le foreste pluviali per far spazio a piantagioni di un grasso (l’olio di palma) che diventerà la principale materia prima a basso costo di mille velenosissimi cibi industriali che mangiamo tutti, incoscienti, ogni giorno, spalmandoli o sgranocchiandoli; oppure facendo sparire all’altro capo del mondo le foreste sudamericane da trasformare in pascoli che nutriranno altre vacche destinate a diventare altri hamburger grigliati che si trasformeranno a loro volta in tanti altri cancri al colon; male che è sempre più epidemia, specie nel mondo industrializzato, male che è un Isis senza “Inshallah”, senza pugnali levati, senza bandiere o gipponi Toyota, se soltanto uno avesse l’accortezza di leggere dati statistici che fanno rabbrividire.

Male che uccide così come fanno le farine bianche “bombate” di glutine fino a tre volte quello che era un tempo la sua dose in natura. Glutine potenziato con i sistemi Ogm che – leggetevi il volume scientifico Grain Brain del professor David Perlmutter, non di un ciarlatano – spappola i cervelli ed è la principale causa del dilagare di Alzheimer Disease che sta devastando soprattutto l’America: un nuovo malato quasi ogni minuto, dicono gli studi più recenti. Perché tutto questo? Perché il pane dove ficcare hamburger e hot dog sia più bianco, più gommoso e più soffice, come vuole il marketing, ma anche perché la pasta non scuocia mai, perché industria e il solito marketing chiedono proprio quello.

Intanto, e di conseguenza, mentre nei loro uffici di cristallo i Lorsignori – i “pochi”, anzi i pochissimi – contano il nero sancito nella bottom line dei loro bilanci, il clima mondiale impazzisce e va a rotoli, intere aree costiere scompaiono sott’acqua spingendo all’inurbazione o alla fuga all’estero milioni di ex contadini, gli ospedali si riempiono di nuovi ammalati da cibo spazzatura e nuove medicine sbarcano prontamente in farmacia per curarli. Così, tristemente, il cerchio si chiude. Tutto, come dicevo, è concatenato.

E io, per quel che vale la mia opinione di ingrigito osservatore delle cose del mondo, rimango sempre più convinto che il povero Adamo Smith, papà del libero mercato, si rigiri vorticosamente nella tomba osservando gli scempi compiuti illecitamente e immotivatamente in suo nome. Dirò di più: sono anche convinto di avere visto uno che gli assomigliasse molto, tempo fa, tra i volti anonimi dei ragazzi che dormivano nelle tende dell’accampamento di Occupy Wall Street. Non sorrideva: aveva uno sguardo decisamente incazzato.


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