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Cosa deve fare Renzi in Europa su Ilva, Bail-in e Bad bank

Nei prossimi mesi, per il governo Renzi, il confronto con l’Unione europea sarà estremamente complesso, duro e senza risparmio di colpi.

La questione del bail-in bancario ha fatto traboccare il vaso: dopo mesi di trattative con la Commissione, iniziate dal Tesoro a maggio scorso per risolvere il problema delle quattro banche locali in difficoltà, alla fine il governo ha approvato un decreto legge (183/2015) che ratifica l’esproprio degli azionisti e lo spossessamento degli obbligazionisti subordinati, scaricando la responsabilità della decisione su Bruxelles. Solo a questo punto è uscita fuori una lettera inviataci dalla Commissione, un capolavoro farisaico: mentre da un lato ribadisce quanto è già chiaro dalla lettura delle direttive comunitarie sull’uso del Fondo per la garanzia dei depositi, che è ammissibile su base volontaria solo se non si dia luogo alla risoluzione di una banca, dall’altro conferma che ogni responsabilità decisionale spetta al governo italiano.

Si è contravvenuto, ancora una volta, ad un principio fondamentale: “Mai chiedere niente a Bruxelles”. Che si tratti di un assenso preventivo, di una verifica, del sostegno ad una iniziativa qualsiasi, non solo è tempo perso, ma si precostituiscono condizioni di debolezza politica difficilmente rimediabili, e si pregiudica il probabile contenzioso. Chi “chiede” si manifesta già debole: o è incerto sul da farsi, oppure ha bisogno di aiuto.

Tutti i governi italiani, anche perché durano di regola assai poco, ripetono lo stesso errore: all’inizio del mandato cercano di accreditarsi, di farsi considerare affidabili. Poi, ovviamente delusi, si irrigidiscono: di qui nasce la sensazione di inaffidabilità. Tutti gli altri Paesi, piccoli o grandi, vanno avanti a spada tratta per difendere i loro interessi, a qualsiasi costo.

Anche il governo Renzi ha iniziato un percorso di accreditamento nei confronti della Unione europea. Due erano state le questioni prioritarie, poste durante il semestre di Presidenza italiana: la flessibilità nella applicazione del Fiscal Compact e le iniziative finalizzate alla crescita, mediante il rilancio degli investimenti. Dopo tante polemiche, abbiamo ottenuto due successi di facciata: la flessibilità c’è, e la Commissione ne valuterà la applicazione caso per caso, ma solo perché era già prevista nel Trattato. Gli investimenti, anche quelli, verranno: del Piano Junker circolano ancora solo le brochure patinate da Sala Vip di aeroporto, distribuite per ingannare qualche ora di attesa.

Anche stavolta, nel confronto con Bruxelles si dovrà risalire la corrente, dopo aver ammonticchiato motivi su motivi di risentimento.

C’è innanzitutto il tema della flessibilità sul deficit di bilancio, con il giudizio della Commissione che è stato rinviato a marzo, quando si farà il consuntivo del 2015 e sarà presentato il nuovo Piano Nazionale delle Riforme. C’è la questione dei migranti: al colmo della crisi migratoria dalla Libia, l’Italia chiese aiuto e solidarietà, con la previsione di distribuire fra gli aderenti all’Unione i richiedenti asilo. Non solo la decisione sulle quote obbligatorie non ha avuto seguito concreto, ma ora ci arriva una procedura di infrazione per non aver preso le impronte digitali a tutti coloro che sbarcano: abbiamo il danno e la beffa.

Lo scontento italiano riguarda altri quattro questioni. Le prime due riguardano l’intreccio tra forniture energiche e sanzioni alla Russia: si contesta il rinnovo automatico delle sanzioni per poter discutere della politica energetica. Infatti, mentre da una parte è stato bloccato il South Stream, sostenuto dall’Italia, rilevando la assoluta inopportunità di accrescere la dipendenza dalla Russia, dall’altra la Germania ha già contrattato direttamente il raddoppio del North Stream. Si tratta dei soliti due pesi e due misure, ma soprattutto della conferma della strategia del fatto compiuto di cui si diceva prima: gli altri fanno, noi chiediamo il permesso.

C’è una terza questione, quella dell’Ilva, per la quale è in fase di apertura una procedura di infrazione per aiuti di Stato: serve un guizzo politico, sollevando una eccezione ambientale per uscire dall’angolo, visto che l’eccesso di capacità produttiva sta mettendo in competizione i produttori. Si devono salvare solo gli impianti rispettosi dell’ambiente, mentre gli altri vanno chiusi.

Quarto punto è il bail-in. Qui bisogna sollevare una questione di illegittimità costituzionale della nuova disciplina, per contrasto con l’articolo 47 della Carta, in cui si prevede che “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”. Il contrasto con la nuova impostazione europea è palese, ed il Governo deve riservare ogni decisione alla nostra Corte costituzionale. Dovrà comportarsi esattamente come il governo tedesco, che ha sempre rinviato ogni decisione sulla compatibilità del Trattato ESM, così come delle iniziative assunte dalla Bce n materia di acquisto di titoli di Stato, al vaglio della Corte di Karlsruhe.

Ci si sveglia tardi, ma talora succede. Bisognava agire subito, già due anni fa, con la costituzione di una Bad bank di sistema: si è perso tempo, ma non è amcora troppo tardi. Bisogna agire d’urgenza, liberare le banche dalle sofferenze recuperando l’esperienza della SGA, la Società per la gestione degli attivi del Banco di Napoli, che ha recuperato pazientemente la gran parte degli attivi incagliati. Questa decisione varrebbe più di dieci manovre a sostegno dell’economia.

E’ ridicolo, poi, sentirsi dire che comunque una Bad Bank, in Italia, si dovrà fare vista l’entità delle sofferenze, ma con l’intervento dell’ESM, il Fondo Salva Stati. Sarebbe legittima, ma solo se chiedessimo all’Europa il permesso di salvare le nostre banche usando i capitali, già una cinquantina di miliardi di euro, che come Italia abbiamo versato al Fondo Salvastati.

Questa è l’ipocrisia assoluta dell’Unione europea: dovremmo chiederle il permesso di usare i nostri soldi, affinchè ci autorizzi ad usarli per sostenere le nostre banche, dettandoci pure le severe condizioni per farlo.

Mai chiedere niente all’Europa: ormai non è un’ancora di salvezza, ma una pietra al collo.

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