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Pubblicizzare gli utili, privatizzare le perdite: si può?

Con questo intervento inauguro a mia pagina personale su Formiche.net. Questo blog non ha una intestazione, per scelta del direttore. Mi piacerebbe però far ricadere gli articoli in due categorie distinte: “Lungomare Italia” per le riflessioni più approfondite e “Arrosticini” per le spigolature più leggere o ironiche. Questo primo post entra nella prima partizione.

Pubblicizzare le perdite e privatizzare gli utili è il sogno di tutti gli imprenditori italiani, e non solo, per cavalcare l’onda della congiuntura economica senza esserne travolti quando monta l’alta marea della crisi. Ma nella Penisola dei famosi, come la chiama Roberto d’Agostino con catodica ironia, succede anche che si cerchi di pubblicizzare gli utili e privatizzare le perdite, con un’inversione dei ruoli che solo in un Paese dove Stato e cittadino si trovano spesso contrapposti può avvenire.

Succede all’Eni, partecipazioni statali (30% circa per la gran parte detenuto dalla Cassa depositi e prestiti) con vertici a nomina governativa e lottizzazione in cda delle poltrone. La società vorrebbe scaricare sui consumatori il maggior costo delle sue importazioni di gas, acquisito con onerosi contratti “take or pay” che in questo momento di bassa domanda interna e internazionale causano minor profitti se non addirittura perdite. Questi accordi di fornitura di lunga durata prevedono, infatti, che il gas vada comunque ritirato e pagato anche se la domanda finale non c’è. In parte viene stoccato ma nella parte eccedente disperso. L’idea di Paolo Scaroni è quella di far pagare questi maggiori oneri derivanti dai contratti take or pay – all’incirca 800 milioni di euro secondo stime – ai consumatori, dicendo loro che è il costo per avere la sicurezza di essere riforniti nel lungo periodo. Una sorta di assicurazione, insomma, che in termine più tecnico viene indicata come “capacity payement”.

Ma Eni ha contratti in essere anche della durata di 30 anni, caso unico a livello europeo, e scaricare questi costi per durate così lunghe vuol dire appesantire per decenni le bollette di consumatori già vessati dall’alto costo del gas in Italia, più caro del 25% rispetto a quello europeo nel  2011, come ha ricordato l’onorevole del Pd, Federico Testa, in una interrogazione al ministro Corrado Passera.

Proposta irricevibile? Verrebbe da dire sì, non fosse altro che per l’impossibilità di governo e Parlamento di sapere come si sono formati questi contratti così onerosi e capire se l’Eni abbia contrattato efficacemente nell’interesse genuino degli italiani, specialmente con Russia e Algeria (dove Saipem è indagata, anche dalla procura di Milano, per presunte mazzette), i nostri primi fornitori. Eppure il consumo europeo sempre più basso anche per il successo delle rinnovabili, le continue scoperte di maxi giacimenti e la decisione maturata dagli Stati Uniti e Inghilterra di sfruttare anche lo shale gas interno (il gas estratto con tecniche di frazionamento del sottosuolo) erano segnali che i prezzi chiari che i prezzi internazionali avrebbero preso un trend discendente, com’è poi stato. E invece incredibilmente il presidente dell’Autorità per l’energia (Aeeg) Guido Bortoni nei giorni scorsi si è detto favorevole e lo ha messo per iscritto in un primo documento consultivo utile per cambiare i parametri di determinazione del prezzo in bolletta. Dove si dice anche che il metodo di calcolo deve passare dall’alto prezzo take or pay a quello spot (a pronti, ora più basso), con beneficio solo apparente per tutti, perché il suo effetto sarebbe probabilmente controbilanciato dall’assicurazione chiesta dall’Eni – che per inciso stacca un dividendo di 1-1,2 miliardi di euro l’anno allo Stato – come ha sottolineato anche Gionata Picchio su la Staffetta Quotidiana.

Ma se lo Stato si mette d’accordo con lo Stato per far ricadere costi sul cittadino, non è privatizzazione di oneri (o di perdite, come in questo caso)?

Lungomare Italia

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