Skip to main content

Vi spiego tutte le conseguenze della Cina abbacchiata

Xi Jinping

I crolli in serie della Borsa cinese e dello yuan segnano un cambio di fase nell’economia internazionale? La Banca mondiale pensa di sì e ha già abbassato le previsioni di crescita per quest’anno. Certo è difficile considerare questi fenomeni degli accidenti congiunturali, conseguenza delle tensioni geopolitiche o quant’altro. Intanto, si accompagnano a una fase negativa nell’insieme dei Paesi in via di sviluppo: nessuno dei celebrati Brics va bene e alcuni come Brasile e Russia vanno decisamente male. Appare scontato ormai che il ciclo della crescita trascinata dall’Asia e dall’America Latina si stia chiudendo. Questo richiede ai Paesi occidentali, soprattutto all’Europa che ancora non si è ripresa completamente dalla lunga recessione, di cambiare passo, anzi locomotiva.

Dopo le crisi in serie (finanziaria, produttiva, dei debiti sovrani), l’Europa ha risposto con politiche fiscali restrittive per ridurre i debiti pubblici e privati, una politica monetaria espansiva, la svalutazione dell’euro, il sostegno alle esportazioni, contando sulla continua crescita della domanda nei Paesi in via di sviluppo. Questo modello non è più replicabile perché viene meno il traino esterno.

Logica vorrebbe che fosse rimpiazzato da un nuovo mix che fa perno sulla domanda interna. Ma qui ci sono dei limiti oggettivi e soggettivi. I primi dipendono dal fatto che, nonostante la stretta fiscale, il processo di riduzione dei debiti non è riuscito. Restano alti quelli dei governi (anche togliendo i peggiori, cioè Grecia e Italia, tutti gli Stati restano a livelli superiori di 30-40 punti rispetto al 2008). Restano elevati quelli delle famiglie e delle imprese, mentre le banche sono piene di prestiti che non verranno mai restituiti al loro valore o di titoli cosiddetti marci.

La situazione è migliore negli Stati Uniti dal lato della finanza pubblica, meno per quella privata. Anche in Nord America, comunque, la crescita è debole rispetto agli standard tradizionali e la corsa di Wall Street è durata così a lungo da far pensare che si avvicini una fisiologica correzione.

Gli Stati Uniti hanno già compiuto una svolta verso la domanda interna, anche se giudicata troppo timida dai neokeynesiani e troppo drogata dalla moneta per i neoliberisti. L’anno elettorale impedisce in ogni caso grandi cambiamenti. L’Unione europea non lo ha fatto per ragioni squisitamente ideologiche che si stanno rivelando miopi, anzi acceacanti come ogni ideologia totalizzante. La Germania è il Paese che ha più puntato sull’export (ormai s’avvicina alla metà del pil) e che meno vuole una politica fiscale basata sulla domanda interna, anche se le condizioni del suo bilancio pubblico le consentirebbero di spendere in deficit. Gli altri grandi Paesi sono ingessati: la Francia e la Spagna perché hanno già disavanzi pubblici eccessivi, l’Italia perché ha un debito paralizzante.

La svolta, dunque, non può venire da Berlino. Ci vorrebbe una scelta strategica dell’Unione europea la quale, però, ammesso che ne sia convinta, non è in grado di condurla avanti perché non ha poteri sulla politica fiscale.

Se tutto questo è vero, il 2016 si presenta come un anno di rallentamento della congiuntura economica se non di vera e propria stagnazione, un bel guaio per l’Italia che non si è ancora ripresa. Ma siccome il rallentamento cinese e dei Paesi in via di sviluppo non è un fenomeno momentaneo, anzi ha carattere strutturale, questa fase stagnante è destinata a durare.

La Cina (e con lei chi l’ha seguita in gran parte perché dipendente dal suo sviluppo, si pensi al Brasile o all’Argentina, al resto dell’Asia e all’Africa fornitrice di materie prime) deve passare da un modello di accumulazione forzata a una crescita più equilibrata fondata anch’essa sul mercato interno, sui servizi, sul welfare (la curva demografica sta cambiando). Ciò non vuol dire che il Dragone sia in declino, ma che è destinato a cambiare; questa trasformazione durerà anni, avrà anche conseguenze politiche e sociali profonde. Tutti ne dovranno tener conto e prima comincia la riflessione meglio è.

Perché l’aggiustamento avverrà, e lo farà il mercato a modo suo. Poi sentiremo di nuovo la tiritera contro il capitalismo selvaggio, perfetta per coprire la propria miopia, anzi la propria ignavia. Il circo politico-mediatico offrirà la grancassa. Gli europei in questo sono maestri. Quanto agli italiani, non hanno rivali.

Stefano Cingolani


×

Iscriviti alla newsletter