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Che lingua parla la politica?

C’è stato un tempo, non lontano, in cui la padronanza della lingua italiana garantiva una buona posizione.
Gli studenti del Liceo Carlo Tenca di Milano, impegnati con l’alternanza scuola lavoro per sei ore al giorno per due settimane, non sono più sicuri di quanto varrà in futuro la loro “istruzione”.
Una delle lingue più parlate al mondo, e una delle più studiate nelle nostre scuole, lo spagnolo potrebbe, anch’esso, non contare nulla in un contesto lavorativo europeo, mentre il tedesco molto meno studiato e meno incoraggiato nel nostro Paese potrebbe essere una delle lingue “dominanti” in Europa.
Aurora Saccani, studentessa dell’istituto, crede ancora nel valore del suo percorso scolastico ma, durante il suo primo giorno di stage, entrando per la prima volta in contatto con il mondo lavorativo si è accorta di come avrebbe potuto orientare diversamente il suo percorso se avesse saputo prima quali fossero le reali dinamiche del contesto lavorativo europeo.
Il loro istituto è il Liceo delle Scienze Umane. L’indirizzo che hanno scelto è però socio-economico, così studiano Diritto e una seconda lingua straniera in più. Non senza stravolgere la tradizione: la IV E studia infatti lo spagnolo al posto del latino. Gli altri il Francese. I primi 15 ragazzi del Liceo in queste ore, tra studi di avvocati e commercialisti, pensano al loro curriculum vitae grazie all’alternanza, si chiedono: “Esistono quindi lingue di serie B?”. Dopo aver messo in crisi il valore del Latino e della lingua italiana, che sono state le materie portanti per tante generazioni, gli studenti di oggi in alternanza scuola lavoro si domandano cosa serva davvero studiare?”.
Secondo Federico, 18 anni della IV A “ci troviamo di fronte, ora, a un quesito fondamentale: è la scuola italiana che sbaglia a non adeguarsi abbastanza in materia linguistica, oppure è la politica del nostro Paese a sbagliare e a non far valere i nostri diritti e la nostra identità?”.
Da poco si è espressa la Corte europea di giustizia sulla questione del trilinguismo imposto a Bruxelles che ha permesso l’uso esclusivo dell’inglese, del francese e del tedesco come lingue per partecipare a bandi e concorsi. La corte ha accolto i ricorsi presentati da Italia e Spagna, i quali sostengono “un’imposizione di questo tipo da parte di un organo della comunità, potrebbe rappresentare una negazione dei diritti di uguaglianza tra i cittadini europei e di fatto privilegiare coloro che provengono dai tre Paesi”.
Non è la prima volta che si sente parlare del problema del trilinguismo: già nel 2013 Italia e Spagna presentarono ricorso sul regime brevettuale europeo che dà la possibilità di depositare testi solo nelle, solite, tre lingue: inglese, francese e tedesco, e in quell’occasione il ricorso venne respinto.
La sentenza, che apre ora scenari nuovi, ha ricordato come le lingue ufficiali dell’UE siano 24 e come i concorsi debbano obbligatoriamente essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, che deve essere disponibile in tutte le lingue ufficiali dell’Unione. Senza contare, possiamo aggiungere oggi, il caso della lingua catalana, in questi minuti di fermento per l’indipendenza.
Il 27 settembre la Corte di giustizia europea ha deciso che i concorsi per l’assunzione di personale per la Commissione Europea non possono essere esclusivamente in francese, inglese e tedesco. Perché questo vorrebbe dire che ci sono coloro che “possono partecipare al concorso ed essere così assunti come funzionari o agenti dell’Unione, mentre gli altri” (che siamo noi, dicono in coro i ragazzi delle scuole italiane) “che tale conoscenza non possiedono sono esclusi”.
C’è chi azzarda che l’Unione europea dovrebbe difendere meglio certe radici e richiedere di conoscere la lingua dei filosofi, della letteratura greca, al posto del tedesco, ma quella sarebbe un’altra Europa, e non registrerebbe, forse, il calo di fiducia fotografata dagli ultimi dati Demos (dicembre 2015, i quali mostrano si è quasi dimezzata la fiducia rispetto al 2000).
Negli anni della crisi, le nuove generazioni di studenti non hanno più lo slancio che i coetanei degli anni addietro avevano manifestato. La concorrenza nei Paesi EU si fa sentire ora anche tra i banchi di scuola, e la moneta unica tra Paesi con sistemi scolastici così diversi comincia a non bastare ai suoi giovani.


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