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La Germania avanza ma la destinazione è incerta

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Mi chiedo semiserio quanto tempo impiegherà la Weltanschauung economica tedesca a diventare mainstream se la Germania continuerà a macinare numeri da record come sta facendo e ha fatto anche nel 2015. Se un modello economico si dovesse imporre in virtù dei suoi risultati, dovremmo già abitare un mondo dove il paradigma tedesco, e non quello statunitense, dovrebbe dettare la linea. E invece non è così, a dimostrazione del fatto che l’economia è solo un’utile rappresentazione. I numeri si pesano, non si contano.

Sicché il panzer tedesco è presumibile prosegua la sua avanzata regionale, e segnatamente nell’eurozona e nell’Ue, senza che ciò serva granché a mutare gli equilibri globali, ormai palesemente indirizzati dall’asse sino-americana, che trova nel Fmi, dove la Germania ha un peso specifico assai limitato, il suo punto d’incontro.

Il successo tedesco, perciò, somiglia a un epifenomeno, che però è interessante osservare, in tempi in cui le economie globali sono anemiche e scoraggiate. Se non altro perché fa eccezione.

I numeri diffusi dall’istituto di statistica tedesco pochi giorni fa ci dicono alcune cose che già avrete letto sui giornali, ma che è utile ricapitolare. Nel 2015 il Pil tedesco è cresciuto dell’1,7%, lo 0,1% in più del 2014 e l’1,4% in più del 2013. Ma è ancora più interessante osservare la sua composizione.

Il driver principale della crescita, infatti, è stata la domanda interna, come è avvenuto in gran parte delle economie mondiali, con la spesa delle famiglie cresciuta dell’1,9% e quella del governo del 2,8. Complessivamente la domanda interna ha originato 1,5 punti di crescita sugli 1,7 totali.

Dato ancora più importante, è cresciuta la formazione di capitale. Il che vuol dire una crescita degli investimenti e quindi della capacità produttiva. A ciò si aggiunge l’estrema dinamicità del commercio estero, grande punto di forza tedesco, che è cresciuto del 5,4% rispetto al 2014, a fronte però di una crescita dell’import ancora più rilevante, ossia del 5,7%. Come conseguenza, l’impatto dell’export netto sul Pil è stato ridotto (+0,2%), ma comunque c’è stato. Questi dati tuttavia confermano che la Germania ha mutato la sua conformazione economica. La crescita della domanda interna, che viene confermata dall’aumento delle retribuzioni e dal surriscaldarsi del mercato immobiliare, diminuirà importanza relativa dell’export netto sul pil, probabilmente anche negli anni a venire. Non a caso un punto di crescita è arrivato dalla spesa delle famiglie

Il tutto in un un’economia che sembra in piena occupazione, visto che per la prima volta è stato superato il numero di 43 milioni di occupati, 329 mila dei quali hanno trovato lavoro nel 2015, con una produttività cresciuta dello 0,5%.

Di rilievo anche la notizia che “il governo continua il suo consolidamento”, con un avanzo di bilancio, nel 2015, di 16,4 miliardi di euro, malgrado l’aumento registrato di spesa del governo, che ha contribuito per 0,5 punti all’aumento del Pil, che significa uno 0,5% in più di surplus sul Pil rispetto al 2014, che fa sicuramente notizia in un Europa segnata dai deficit.

Come ultima notazione, vale la pena riportare un grafico elaborato da Rbs che mostra una plastica rappresentazione degli squilibri globali. Nel 2015, rispetto al 2014, la novità è che la posizione di creditore globale della Germania è migliorata, mentre fra i creditori sono spariti i paesi esportatori di petrolio. Ormai i grandi creditori rimasti sono sostanzialmente tre: Germania, Cina e Giappone. Ma, come sempre, è il grande debitore (gli Usa) che regge il gioco.

Sempre perché l’economia è una cosa. Il potere un’altra.

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