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La solitudine di Renzi in Europa

Nella lingua inglese, la parola “solitude” esprime il dolore di essere soli. La parola “loneliness”, al contrario, esprime la gloria di essere soli. Quale dei due termini è più adatto a descrivere la condizione di isolamento in cui si è infilato Matteo Renzi in Europa? Lascio al lettore l’ardua scelta. Sono tuttavia abbastanza certo che il premier abbia già optato per il secondo.

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Mi viene incontro un anziano generico, che da anni, in questa rinascita storico-biblica-mitologica della nostra cinematografia, passa da un film all’altro senza nemmeno cambiarsi la truccatura. È un saggio a Tebe, un arconte ad Atene, un consigliere alla corte dei Faraoni, un sacerdote a Babilonia. A Creta è guardiano del labirinto, nell’Olimpo è Saturno, in Galilea un apostolo. Mi chiede un piccolo prestito. -Non stai lavorando?- gli chiedo. Allarga le braccia, desolato: -Dovrei fare un senatore, ma a settembre!-” (Ennio Flaiano, “La solitudine del satiro”, Adelphi, 2013). Questo anziano generico, ieri del cinema come oggi della politica e degli affari, è una figura immortale della storia capitolina. In fondo, è il più autentico protagonista del processo Mafia Capitale da poco ripreso nel carcere di Rebibbia. Non c’è quindi bisogno di scomodare Shakespeare, come ha fatto qualche magistrato, per descrivere le sue malefatte. Basta e avanza Trilussa.

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Soltanto nell’ultima settimana abbiamo avuto prima la nomina di Marc Benajoun come nuovo amministratore delegato di Edison (di proprietà dei francesi di Edf) e poi di Olivier Jacqueir nominato a capo della filiale italiana di Engie (l’ex Gas de France Suez). Ma prima ancora c’erano state le nomine ai vertici di Parmalat, Loro Piana, Safilo, Lamborghini… Ma la “moda” del manager straniero è pervasiva e colpisce anche le aziende che – ancora – non sono state vendute all’estero e mantengono capitale italiano. Per esempio, ha scelto fuori dall’Italia per ben due volte Leonardo Del Vecchio, sia per Luxottica che per Beni Stabili. O la famiglia Agnelli per la società dei trattori Cnh (tenendo conto che “tecnicamente” Sergio Marchionne sarebbe italo-svizzero-canadese), o i Garavoglia per la Campari”. È il passaggio di un articolo apparso tempo fa su Repubblica.it, che prendeva spunto dalla nomina di Cramer Ball alla guida di Alitalia per denunciare la ” grande invasione dei manager stranieri in Italia”. Merita di essere segnalato perché, a mio avviso, riflette il provincialismo con cui alcuni grandi quotidiani domestici definiscono come “moda” scelte che andrebbero lette, invece, come un positivo segno di dinamismo e di apertura al mondo delle nostre imprese. Sono gli stessi sempre pronti, poi, a bacchettare il conservatorismo e la mancanza di visione del capitalismo familiare nazionale.

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Leonardo Di Caprio è certamente un grande attore, ma dargli l’Oscar per “Revenant-Redivivo” sarebbe come dare il Nobel per la letteratura a Marco Travaglio per la sua ultima pièce teatrale “Slurp-Lecchini, Cortigiani & Penne alla Bava. La stampa al servizio dei potenti che ci hanno rovinati” (sic!). Piuttosto, se fossi stato un giudice dell’Academy avrei candidato alla statuetta l’orsa grizzly sgozzata dal prode trapper hollywoodiano. È senza dubbio la migliore interprete del film di Alejandro Gonzáles Inárritu.


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