La rappresentazione migliore della tormentata gestione statale della previdenza dei suoi dipendenti è in una cifra: la differenza fra le entrate ordinarie da contributi che arrivano dai lavoratori e la spesa per prestazioni che ho tratto da un recente analisi della Ragioneria dello Stato.
Qui leggo che nel 2014 il totale netto della spesa per le prestazioni pensionistiche degli ex dipendenti pubblici è stato di 65,45 miliardi di euro. Ciò a fronte di entrate ordinarie per soli 37,9 miliardi, un po’ più della metà. Ciò vuol dire che i contributi di chi lavora nel pubblico bastano appena a pagare la pensione a poco più della metà dei pensionati pubblici.
I contributi dei lavoratori vengono integrati da ulteriori entrate. Quelle derivanti dall’applicazione della legge 335 del ’95, ossia la cosiddetta riforma Dini, che nel 2014 valevano 10,8 miliardi, poi i trasferimenti dello Stato e di altri enti del settore pubblico, ossia la quota di contributi a carico del datore di lavoro, ossia lo Stato, degli altri enti e dei contributi capitali, che, sempre nel 2014, pesava circa 11 miliardi. Al lordo dei riscatti e delle ricongiunzioni, che pesano un paio di centinaia di milioni, il totale delle entrate è di circa 60 miliardi. Ciò vuol dire che la previdenza del pubblico impiego è in perdita di per oltre cinque miliardi, che devono essere pescati nella fiscalità generale.
Per scoprire l’origine del buco, dobbiamo andare a vedere le singole gestioni. Qui si nota che il grosso del deficit, pari a 5,357 miliardi, deriva dalla gestione della CPDEL, ossia la cassa dei dipendenti degli enti locali, e poi, per 225 milioni, dalla CPS, ossia la cassa dei sanitari. La gestione degli statali, la CTPS, chiude in pareggio.
Tale circostanza si deve al fatto che con la finanziaria 2012, dopo che l’Inpdad è confluito nell’Inps, sono cambiate le regole contabili. Tale effetto è visibile nella quota di trasferimenti garantiti dallo Stato a integrazione delle entrate ordinarie. Fino al 2011, infatti, ammontavano a poche centinaia di milioni. A partire dal 2012, però, crescono sensibilmente: dai 6,9 miliardi (a valore corrente) del 2012, agli 8,5 del 2013 e agli 11,235 del 2014. Il grosso di queste cifre è stato conferito alla gestione CTPS, che, di conseguenza, chiude in pareggio.
Se guardiamo ai dati di tendenza, osserviamo che in relazione al Pil la spesa per la previdenza dei dipendenti pubblici è cresciuta pressoché costantemente dal 1999, quando pesava il 3,14% del prodotto, per arrivare dopo 15 anni al 4,06%. Segno evidente di un andamento crescente nel tempo della spesa pensionistica pubblica. Lo dimostra il fatto che nel 1999 il deficit fra spesa totale e entrate totali era di poco superiore al miliardo. Nel 2014 è quintuplicato.
Un altro effetto della nostra imprevidenza pubblica.
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