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Malaysia, tutte le relazioni pericolose tra Najib Razak e l’Arabia Saudita

Immaginiamo 680 milioni di dollari di origine ignota che rimbalzano da una società domiciliata nelle British Virgin Islands fino alla sede di Singapore di una banca privata svizzera, e atterrano graziosamente sui conti correnti di un primo ministro in carica.

Aggiungiamo un’indagine che dimostra come quei 680 milioni provengano da una potenza straniera.

Mescoliamo con altri ingredienti, come ad esempio un’opposizione agguerrita e pronta a scendere in piazza, una posizione geostrategica cruciale per gli equilibri politici ed energetici del Sudest asiatico, e vecchie ombre sulla reputazione dello stesso premier, che forse – o forse no – alcuni anni fa era stato coinvolto nell’omicidio di una donna che sapeva troppo su certi contratti per la fornitura di armamenti: il risultato è il caso 1MDB, ovvero il caso in cui si trova invischiato da mesi il primo ministro della Malaysia Najib Razak. Una storia che qualche ora fa ha subito una nuova svolta.

DA RIYAD A KUALA LUMPUR

Nel corso di una conferenza stampa, il procuratore generale malesiano Mohamed Apandi Ali ha spiegato il 26 gennaio che i 680 milioni di dollari ricevuti da Najib hanno finalmente un mittente preciso: la famiglia reale saudita. Subito dopo il procuratore si è affrettato a precisare che tre diverse inchieste condotte dalla MAAC, l’authority anticorruzione malesiana non hanno riscontrato alcun reato, e il trasferimento di denaro costituisce quindi una donazione privata elargita dai Saud al primo ministro.

L’opposizione guidata dal People’s Justice Party – capace di portare nelle strade di Kuala Lumpur decine di migliaia di persone per chiedere le dimissioni di Najib – sostiene che le indagini sul caso 1MDB siano state pilotate e che il primo ministro stia consolidando il suo potere attraverso la rimozione degli investigatori più scomodi, l’applicazione di norme dirette agli oppositori politici travestite da leggi speciali contro le infiltrazioni degli estremisti islamici, e una sistematica repressione dei media indipendenti.

Al momento nessuno sa se la nuova rivelazione condurrà a manifestazioni come quelle dell’estate scorsa, ma il caso 1MDB è diventato ormai il terreno di scontro politico, in un Paese che da mesi assiste a una costante riduzione degli investitori esteri e al crollo del valore della sua moneta.

L’AFFAIRE 1MDB

1MDB – acronimo per 1Malaysia Development Berhad – è una società controllata dal fondo sovrano malesiano che si occupa di ottenere investimenti stranieri per settori strategici nello sviluppo come l’energia, le infrastrutture, l’immobiliare e il turismo. Fino al 2009, anno in cui diventa primo ministro, a capo della società c’è Najib Razak, che manterrà un seggio nel consiglio di amministrazione anche dopo la vittoria alle elezioni.

L’estate scorsa i bond emessi da 1MDB sono stati classificati come “spazzatura” dalle agenzie di rating Fitch e Standard and Poor’s a causa di un debito da 11 miliardi di dollari che grava sulla società, mentre le vicende del fondo trovavano spazio su media locali e internazionali come Sarawak Report e Wall Street Journal.

1MDB, secondo i media e diverse agenzie internazionali, si trova al centro di un grumo di affari miliardari a dir poco opachi: si va da progetti di fabbriche- fantasma alla vendita di asset energetici dal valore gonfiato ad arte, tutti accordi che avrebbero garantito alla famiglia di Najib assegni a molti zeri in cambio di un’intermediazione. Mentre i conti correnti di 1MDB sono oggetto di inchieste giudiziarie in Svizzera, a Hong Kong e negli Stati Uniti (dove si indaga anche sul ruolo di Goldman Sachs in una presunta operazione di riciclaggio), l’attenzione dell’opinione pubblica si concentra sui famosi 680 milioni che sarebbero transitati da un conto del fondo direttamente nelle tasche del primo ministro.

Najib Razak ha sempre affermato che quel denaro proviene da donatori esterni e non ha nulla a che vedere con il suo passato nella società, una posizione sostenuta anche dall’UMNO, il partito di Najib: “Quel denaro proviene dall’Arabia Saudita, è un premio per il sostegno alla causa dell’Islam sunnita e alla lotta contro l’ISIS, – ha dichiarato nell’agosto scorso Wan Adnan, uno dei leader dell’UMNO – e la Malaysia non è l’unica nazione ad averne beneficiato. Anche le comunità musulmane nelle Filippine e nella Thailandia meridionale hanno ottenuto somme simili”.

Oggi queste affermazioni sono state confermate dall’authority anticorruzione, e il loro impatto su un’opinione pubblica frammentata è ancora tutto da valutare.
Ma non è la prima volta che Najib Razak viene lambito da uno scandalo di proporzioni internazionali.

L’OMICIDIO ALTANTUYAA

Il 19 ottobre del 2006 in una zona poco frequentata ad alcuni chilometri da Kuala Lumpur vengono ritrovati i resti di Altantuyaa, una cittadina mongola 28enne. La donna, stabiliranno le indagini, è stata uccisa a colpi di arma da fuoco e il suo cadavere è stato fatto brillare con dell’esplosivo C-4 nel tentativo di farlo sparire dalla faccia della terra.

È l’inizio di un caso che tutt’oggi pesa come un macigno sulla vita politica malesiana, raccontato anche nel libro del giornalista italiano Eugenio Buzzetti L’ultima volta a Kuala Lumpur: secondo inchieste condotte da Liberation, Malaysia Today e dal sito di Hong Kong Asia Sentinel, Altantuyaa, dopo un passato come modella, aveva lavorato a Parigi come interprete per Abdul Razak Baginda, un importante funzionario dell’intelligence malesiana impegnato nell’acquisto di tre sottomarini modello Scorpéne per conto del ministero della Difesa di Kuala Lumpur.

A presentare i due, che nei mesi a Parigi avviarono una relazione, sarebbe stato lo stesso ministro della Difesa: ossia l’attuale primo ministro malesiano Najib Razak.

Secondo Liberation e altri media internazionali Altantuyaa era venuta a conoscenza di una tangente da 114 milioni di euro versata a Baginda dalla società franco-spagnola che produce i sottomarini per ottenere la commessa da oltre un miliardo di euro, denaro che sarebbe finito nei conti della Perimekar, una società controllata dall’allora ministro della Difesa Najib. Dopo essere stata abbandonata, la donna avrebbe tentato di ricattare il suo ex- amante.

Il processo si concluderà solo nel gennaio dell’anno scorso con la condanna a morte di due poliziotti, l’ispettore capo Azilah Hadri e il sergente Sirul Azhar Umar, entrambi guardie del corpo del ministro della Difesa.

Le accuse di un complotto ordito dallo stesso Najib Razak per nascondere la verità sulla tangente sono state respinte dai tribunali. Il sergente Sirul, fuggito in Australia prima della condanna, ha dichiarato più volte di avere ricevuto l’ordine di uccidere Altantuyaa dai suoi superiori, e che i mandanti dell’omicidio “sono ancora liberi”.

REBUS MALAYSIA

Oggi la Malaysia è un paese sempre più diviso. Se neanche dieci anni fa il Financial Times non esitava a definire Petronas, la società energetica nazionale, “una delle nuove Sette Sorelle”, adesso l’economia malesiana appare in difficoltà. Il rifiuto di ripianare i conti di 1MDB opposto dal parlamento nell’estate scorsa ha sprofondato ai minimi storici la moneta nazionale, il ringgit, altro elemento che ha scatenato le proteste di piazza e provocato un notevole calo degli investimenti stranieri.
La minoranza di etnia cinese che vive in Malaysia da secoli (22,6% della popolazione) e rappresenta la classe imprenditoriale della nazione guarda con crescente fastidio alle diatribe che paralizzano il parlamento, ed è spesso schierata contro le politiche di Najib. Alla fine del 2015 il primo ministro è riuscito a far approvare una controversa legge sulla sicurezza nazionale che gli fornisce poteri mai concessi ai suoi predecessori.
La vicinanza tra Malaysia e Arabia Saudita ha origini lontane, e il continuo flirt tra Najib Razak e la famiglia Saud non è certo una novità.
Ma la vicenda 1MDB potrebbe aprire una nuova crisi politica.

Antonio Talia è editor di Informant ed ex corrispondente da Pechino



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