Penserete che la cosa non vi riguardi. Che questa materia è roba da specialisti, come in effetti è. E tuttavia se superate l’apparenza dell’astrusità, dell’esosterismo che circonda tutta la materia, scoprirete che il tema vi interessa eccome. La buona salute dei mercati a reddito fisso, infatti, ha la stessa importanza di quella del cuore per il corpo umano, essendo il mercato dei bond il muscolo principale dell’organismo finanziario, laddove si concentrano infinite fortune misurate dal metro dei fantastiliardi di Zio Paperone.
Il mercato dei reddito fisso, per dirla altrimenti, è uno dei pilastri, se non il più importante, dei Fixed Income commodity currency (FICC), ossia l’infrastruttura dei mercati finanziari che ogni giorno fa circolare migliaia di miliardi di dollari resi liquidi grazie all’alchimia della fiducia, che ci fa credere che in ogni momento la nostra carta troverà un acquirente, e dal lavoro silenzioso e oscuro di chi questi scambi li consente, lucrandoci costantemente. Quello che in gergo si chiamano market-maker. Quindi coloro che – letteralmente – fanno il mercato.
Se non ci fossero i market-maker, che poi sono banche o intermediari finanziari, semplicemente non ci sarebbe il mercato, perché sarebbe impossibile per un venditore individuare un compratore. I market-maker, quindi, sono coloro che rendono liquida – ossia vendibile – la carta della finanza. E per farlo devono a loro volta investire risorse, che però sono sempre più restii a investire.
Tale situazione rende la gestione della liquidità – ossia la capacità del mercato di funzionare – assai più difficile di quanto non fosse fino a pochi anni fa. E se considerate che queste tensioni adesso stanno emergendo nel mercato dei reddito fisso, ossia delle obbligazioni degli stati come delle banche, capirete perché questa cosa ci riguardi tutti, anche se non ce lo dice nessuno.
Ciò non vuol dire che non se ne parli. Al contrario. I regolatori sono sempre più ossessionati dal monitoraggio delle condizioni di liquidità nei FICC, e in particolare nel mercato dei bond. Anche perché, non bastasse la riluttanza dei market-maker a investire nella loro attività, nell’ultimo decennio si è conosciuta una notevole evoluzione nell’infrastruttura tecnica che ha condotto alla crescita esponenziale del trading algoritmico. Pratica ancora poco conosciuta, ma che già ha sollevato parecchi interrogativi fra gli osservatori per alcuni flash crash che si sono verificati proprio nel mercato dei bond, e segnatamente in quello Usa, il più pericoloso di tutti. E non solo perché i Treasury Usa sono quasi moneta. Ma perché la gestione ordinata dei bond sovrani nei mercati è fondamentale perché la politica monetaria delle banche abbia un senso. Come dice il chairman del comitato William Dudley, casualmente anche presidente della Fed di New York, che “il mercato dei reddito fisso gioca un ruolo cruciale nella condotta della politica monetaria”.
Questa lunga introduzione, che riepiloga brevemente temi che ho trattato più ampiamente altrove, mi sembrava necessaria per spiegare come mai mi sia inflitto la lettura dell’ultima rilevazione del Committee on the Global Financial System (CGFS), che opera nel seno della Bis uscito pochi giorni fa, (Fixed income market liquidity). Questo documento aggiorna un rapporto presentato nel novembre 2014, dove già si evidenziavano alcune tendenze di fondo dei mercati a reddito fisso e che il tempo da allora trascorso non ha mutato, ma semmai approfondito.
La prima di queste tendenze è che si sta allargando la biforcazione fra l’offerta di liquidità e la sua domanda. “I dealer – spiga il rapporto – hanno continuato ad abbassare la loro capacità e volontà di market-making in molte giurisdizioni, concentrandosi su attività che richiedono meno capitale”. Al contrario “la domanda di market-making continua a crescere data l’espansione del mercato primario dei bond e la crescita del possesso di bond fra gli operatori di mercato” che contano “sull’immediatezza dei servizi dei dealers”. Detta più semplicemente, l’aumento costante di emissioni di debito, che gli asset manager sono chiamati a gestire, richiede che questi soggetti siano in gradi di poter contare su una gestione sempre più efficiente della liquidità – ossia che possano vendere quando gli serve – che però confligge con la diminuita disponibilità di chi questa liquidità deve garantirla, che trova troppo oneroso impegnare capitale nel market-making quando può guadagnare di più facendo altro.
Ciò ci porta alla seconda questione che poi è una domanda: la liquidità sta evaporando? “Alcuni segnali individuano una crescente fragilità della liquidità – dice il rapporto – e alcuni episodi di stress sui mercati suggeriscono che la crescita del trading algoritmico possa aver avuto impatto sulla liquidità”. E così arriviamo alla terza questione: queste tensioni possono aver impatti sul costo del trading che poi significa costi maggiori per chi vuole finanziarsi. E più si chiedono soldi al mercato e più è difficile trovarli, visto che i market-maker devono immobilizzare risorse in maniera proporzionale ai volumi che sono chiamati a intermediare e sono sempre meno disposti a sopportare questo rischio (il cosidetto wharehouse risk). Questo anche grazie al paradosso che “requisiti normativi più stringenti per contenere i rischi sistemici nel sistema finanziario, a loro volta, hanno frenato capacità dei rivenditori di assumersi rischi”, che mi sembra la meravigliosa nemesi di un mondo che vuole tutto (più regolazione per avere meno rischi) e il suo contrario (più libertaà di capitali per avere più profitti da capitale).
E questo ci porta alla domanda finale: bisogna supportare la liquidità pure al rischio di aumentarne la fragilità? Domanda che riporta all’evidente connessione fra politica monetaria e condizioni della liquidità. Le politiche monetarie non convenzionali hanno supportato la valutazione dei bond e ridotto la volatilità in molti mercati a reddito fisso e quindi sono state percepite come facilitatrici della liquidità di mercato. Ma al tempo stesso ” ci sono preoccupazioni” che tali politiche abbiano alimentato un trading troppo aggressivo e troppo basato sulle aspettative di policy piuttosto che sui fondamentali “facendo sorgere la domanda di come le condizioni di liquidità si aggiusteranno una volta che la politica monetaria sarà normalizzata”. Sempre che si arrivi a normalizzarla, ovviamente.
Sicché sembra al momento sembra ci sia un trade off fra la resilienza dei market maker e quella della liquidità, nel senso che se i primi stanno meglio, la seconda sta peggio, e viceversa. Ciò significa che rischiare di meno ci fa rischiare di più.
L’ennesimo paradosso di un tempo confuso e impaurito.
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