Solo pochi ricorderanno l’epoca ormai remota in cui il mondo pativa la scarsità di dollari. All’epoca – si era nel decennio successivo al secondo dopoguerra – la valuta americana era preziosa perché oltre ad essere scarsa era l’unica che potesse servire per gli scambi internazionali, oltre a valere (come la sterlina) come asset di riserva. Senza dollari non potevano esserci scambi, e quindi niente ricostruzione. Sicché la paura che i dollari non fossero sufficienti si radicò a lungo nell’immaginario economico internazionale. Almeno fino a quando il mondo non sperimentò il contrario. Che poi è quello che succede da un quarantennio a questa parte.
Una bella ricognizione della Fed di S.Louis, anzi, aggiunge un altro particolare alla nostra conoscenza: mai come in questo di secolo, almeno a far data dal 1980, l’estero ha assorbito così tanti dollari, nella forma consueta degli strumenti finanziari in esso denominati. Mai come oggi il mondo si è dimostrato assetato di verdoni e, soprattutto, capace di assorbirne tanti quanti la generosità americana è in grado di produrne. Una tendenza che mi sembra la dimostrazione più palpabile dell’ottimo stato di salute del Secolo americano, pure nel suo contrarsi spasmodico e caotico, che minaccia sfracelli che hanno come esito soltanto la circostanza che il mondo chieda più dollari, come se così si rassicurasse. E in effetti è così. Il mondo compra dollari e li stipa nei suoi forzieri quando ha bisogno di sentirsi più sicuro e così paga un premio al gigante Usa. Così facendo lo salva pure dall’iperinflazione che questo mare di dollari potrebbe generare, se fosse davvero speso.
Un grafico aiuterà a spiegarsi meglio. Nel 1980 gli asset liquidi denominati i dollari erano all’incirca il 100% del Pil americano. Il settore privato non finanziario, quindi famiglie e imprese non finanziarie, ne assorbiva circa il 40%. Il resto andava alle banche, circa un 10%, più o meno quanto assorbiva l’estero, e poi rimaneva in pancia alle agenzie governative.
A metà del 2015 tali asset avevano abbondantemente superato il 200% del Pil, quindi erano più raddoppiati, ma mentre la quota assorbita dal settore privato non finanziario è rimasta sostanzialmente stabile, è aumentata significativamente quella in pancia alla banche e ancor di più quella detenuta dall’estero, cresciuta di cira il 21% del Pil fra il 2007 e il 2015. Il resto sta in pancia alle agenzie governative e soprattutto della Fed. “Gli asset detenuti dal settore domestico mostrano una piccola ma permanente crescita – scrive l’autore dell’analisi – dovuta alla crescita dei depositi delle famiglie. Quando includiamo il resto del mondo, l’aumento della liquidità è assai più prominente, passando dal 139% del Pil del 2007 a 160% del Pil del 2015, per lo più dovuto al fly to quality”. In altre parole, “gran parte dell’espansione della liquidità è stata assorbita dal resto del mondo che era affamato”. Per colmo di paradosso, la crisi americana ha generato una domanda sostenuta di asset americani, in evidente mancanza di alternative credibili. Ciò che non ti uccide ti rafforza, dice il proverbio.
Gli Usa sono ovviamente consapevoli di questo “privilegio esorbitante”, per ricordare una celebre espressione degli anni ’60. E infatti non si fanno alcuno scrupolo a servirsene quando occorre. Un altro grafico evidenzia la straordinaria crescita di emmissioni di Treasury Usa dal 2008 in poi, quando ancora quotavano circa il 40% del Pil, ormai arrivata all’80%. Una parte rilevante è stata assorbita dalla Fed e dalle riserve bancarie. Ma il grosso sta nei portafogli del resto del mondo, che evidentemente si fida. E a ragione: il Treasury, infatti, è l’oggetto più utilizzato in un’infinità di transazioni internazionali, considerato com’è quasi moneta, a cominciare da quelle repo.
La conclusione servirà a riepilogare: “Nonostante le politiche fiscali e monetarie siano state espansionarie a un livello senza precedenti – nota l’autore – gli asset iquidi degli utilizzatori non sono aumentati drammaticamente”. Insomma: questi asset non vengono utilizzati e quindi non generano pressioni sui costi. Di conseguenza “non dovrebbe essere sorprendente che l’inflazione sia rimasta bassa e stabile e che i tassi di interesse nominali siano rimasti contenuti”. E questo è il secondo paradosso: pompare moneta, che viene acquisita dal mondo per avere asset sicuri, genera talmente insicurezza che questa moneta non viene utilizzata e perciò tiene l’inflazione bassa, ossia la circostanza (insieme a quella di tenere in piedi il giocattolo) che costringe le banche centrali a pomparne ancora.
Galleggiamo tutti sopra un mare di dollari tanto necessari quanto inutili. Il problema è che ci piace.
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