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I banchieri inglesi dicono no a Brexit

Quando ci sarà un referendum nel Regno Unito sull’uscita dall’Ue una cosa potremmo darla per acquisita: il voto dei banchieri. Costoro hanno tutto da perderci a tirarsi fuori dall’Unione proprio adesso che si sta delineando il progetto della CMU (capital market union) che promette di segnare la terza rivoluzione istituzionale europea dopo quella dell’unione monetaria e quella bancaria.

Perciò, quando si voterà per questo referendum, dovremmo ricordarci ciò che scrisse maggio 2015 la BoE Nella sua risposta al progetto di CMU elaborato dalla commissione: “La BoE supporta con decisione l’iniziativa della CMU”, spiegando nelle successive 45 pagine i perché e i percome – con alcuni caveat – aderire a una unione dei capitali gioverebbe alla stabilità finanziaria e quindi alla crescita nei domini di Sua Maestà, ma in generale nell’intera Ue, pure se, ovviamente, i primi interessano più dei secondi.

Per capirne le ragioni, vale la pena leggere un pregevole speech di qualche giorno fa dove Dame Clara Furse, membro indipendente del Financial policy Committee della BoE, si interroga se la dimensione globale, riferita ai mercati finanziari, sia ancora un bene (A changing world; is global still good?). La risposta, che ci si poteva aspettare, è un fragoroso sì. Globale in finanza non solo è bello, ma è anche auspicabile, perché significa più efficienza sui costi, sulla regolazione, sull’expertise di chi ci lavora.

La nostra esperta ci ricorda alcuni aspetti che servono a centrare il problema. Il primo è noto a molti, ma non nella sua fisionomia precisa: il Regno Unito è da decenni, per non dire secoli, un centro finanziario internazionale che oggi si stima gestisca 6 trilioni di asset, 4,5 dei quali sono di provenienza estera. Questa industria dà lavoro, si stima, ad almeno un milione di persone e genera un notevole valore aggiunto alla produzione nazionale. Nulla insomma che il Regno Unito si possa permettere di perdere. Specie quando oltre i confini si agitano campioni ormai consolidati, come la piazza di New York, che pure se maggiormente orientata sul mercato domestico è comunque un concorrente di tutto rispetto, è la tigre asiatica di Hong Kong. Questo per dire che quando i banchieri votano non sono soltanto i pochi fortunati miliardari della city o i banchieri centrali, E’ l’indotto.

Un’altra informazione interessante, che poi motiva il titolo dell’intervento, si trova in un dato: siamo ancora in un contesto di de-globalizzazione finanziaria. “I flussi di capitale transfrontalieri – spiega – guidati dalla contrazione dell’attività bancaria internazionale sono ancora in calo. Quindi sembra il tempo giusto per considerare i benefici per i mercati globali che derivano dai centri finanziari”. Per la cronaca, secondo una ricognizione che risale al 2014, tali flussi sarebbero intorno all’1,6% del Pil mondiale, a fronte del picco del 16% – dieci volte tanto – del 2007. Una contrazione che ha particolarmente colpito le banche britanniche.

Nel suo discorso la nostra banchiera compie anche una interessante ricognizione storica che parte dalla Venezia rinascimentale, passando per l’Olanda del XVII secolo e l’UK del XIX per far comprendere come un centro finanziario nasca spesso sull’onda di una predominanza politica, ma tenda a conservare il suo ruolo anche quando – come nel caso dell’UK – tale predominanza viene meno. A meno che, certo, non vengono compiuti degi errori a livello istituzionale. Come esempio più vicino a noi viene citato quello della nascita del mercato dell’eurodollaro che fra gi anni ’50 e soprattutto nei ’60 si consolidò a Londra in seguito a scelte avventate della politica statunitense.

Ciò non vuole che una volta acquisito il rango di centro finanziario non possa perdersi. E’ successo a Venezia e ad Amsterdam, può succedere anche a Londra, avverte: “Le scelte politiche e istituzionali contano”.

E poiché contano, “le istituzioni devono rimanere vigili per evitare gli shock, inclusi quelli che possono derivare dall’ambiente geopolitico e macroeconomico”. E che Brexit potrebbe segnare uno shock, pochi dovrebbero dubitarne.

Ovviamente la questione non viene minimamente esplorata. Al contrario, si fa esplicito riferimento all’altra: quella cella CMU. “Al livello europeo la proposta della commissione Ue di una CMU – dice – ha il potenziale di realizzare vasti benefici di integrazione finanziaria lungo l’Europa. Se la proposta della Commissione superasse alcuni impedimenti notati dalla BoE nella sua risposta di maggio, senza dubbio potrebbe ridurre il costo dei finanziamenti all’economia reale e questo in un ambiente dove il costo marginale dei finanziamento è cresciuto sarebbe senza dubbio benvenuto”.

Poiché non è credibile che l’UK esca dall’Ue ma entri nella CMU, viene il sospetto che sia questo più di altre sia il vero oggetto del contendere. Il bluff di Brexit sedurrà pure l’opinione pubblica britannica. Ma i banchieri hanno tutta l’intenzione di andare a vedere.

Twitter: @maitre_a_panZer


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