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Le unioni civili e il silenzio di Camusso e Landini

Vigilia di elezioni a Roma per Roberto Giachetti, Guido Bertolaso, Alfio Marchini, Virginia Raggi, Stefano Fassina, Francesco Storace: sei personaggi in cerca d’allibratore.

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Forse mi sono distratto, ma non ho letto né ascoltato un intervento o una dichiarazione dei leader della Cgil e della Fiom sulla questione delle unioni civili. Eppure guidano organizzazioni che al tempi delle leggi sul divorzio e sull’aborto (e dei rispettivi referendum) fecero sentire in qualche modo la propria voce. Per una confederazione che si autoproclama “soggetto politico”, e per un sindacato di categoria che ambisce a costruire addirittura una grande coalizione sociale, si tratta di una neutralità non proprio esaltante. Susanna Camusso e Maurizio Landini (se ci siete) battete un colpo.

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È già pronta una nuova legge sulla “Stecciold associacion” (Domenico Scilipoti), ma questa volta con la Brexit per non mettere in difficoltà i senatori.

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Con Denis Verdini si è allargata la maggioranza di Renzi o si è ristretta la minoranza di Bersani? Quest’ultima ora invoca un congresso straordinario per stampare la carta d’identità del Pd. D’accordo, purché – se occorre – sia valida anche per l’espatrio.

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A proposito dell’obbligo di fedeltà (ovvero, tanto rumore per nulla): “Elsa Triolet era costretta a tollerare le intemperanze omosessuali di Louis Aragon, pur di non incrinare l’immagine di coppia esemplare del glorioso Partito Comunista Francese. Ma nella sinistra c’era chi, come Sartre, aiutato dalla bisessualità di Simone de Beauvoir, sistematizzava il tradimento, dividendo filosoficamente i legami tra ‘contingenti’ e ‘necessari’. Fu proprio allora forse che nel mondo intellettuale in questo campo sul tragico prevalse definitivamente il ridicolo. E fu aperta la strada alla democrazia” (Giuseppe Scaraffia, “Il demone della frivolezza“, Sellerio, 2016).


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