Gli svizzeri hanno votato no al referendum sulle espulsioni automatiche degli stranieri che compiono un reato e senza tener conto del contesto socio-economico o delle circostanze di fatto. Si tratta della prima sonora sconfitta del partito popolare populista SVP, guidato da Christopher Blocher. Ma si tratta anche di un segnale incoraggiante per l’Unione europea.
Se il referendum fosse passato si sarebbe trattato di una norma contraria ai principi della Corte europea dei diritti dell’uomo. Aveva fatto notare un alto funzionario svizzero in un’intervista televisiva: “Se dovesse passare saremmo uguali alla Bielorussia”. Così, questa volta per il no si sono mobilitati anche intellettuali, giuristi, costituzionalisti.
Bruxelles può tirare un respiro di sollievo, ma la prossima grana con Berna l’attende già dietro l’angolo. Entro una paio di settimane, il governo svizzero dovrà elaborare un progetto di legge per limitare l’immigrazione nel Paese. Così vuole l’esito di un referendum tenutosi nel dicembre 2014. Al centro di quella consultazione popolare non erano però i profughi, ma i cittadini dell’Ue che vivono in Svizzera e il cui numero, negli ultimi anni, è considerevolmente aumentato. Dal 2002, anno in cui Berna ha sottoscritto l’accordo di libera circolazione di merci e persone con l’Ue, si sono trasferiti in Svizzera ogni anno in media 80mila cittadini dell’Unione.
Il 22,4 per cento dei residenti in Svizzera è straniero: 1,998 milioni su una popolazione di 8 milioni di abitanti (dati 2014 dell’Istituto di statistica della Confederazione elvetica). Al primo posto ci sono gli italiani (306mila), al secondo i tedeschi (298mila), al terzo i portoghesi (262mila). Il totale dei cittadini Ue in Svizzera è di 1,104 milioni. Troppi, secondo i cittadini elvetici.
Per questo hanno votato sì al referendum che vuole porre limiti anche ai cittadini del Vecchio continente. I quali, peraltro, potranno entrare e lavorare solo a patto che per i posti liberi non vi siano cittadini svizzeri disoccupati.
Una contromisura che irrita particolarmente la Germania, i cui vincoli con la Confederazione sono particolarmente stretti.
C’è soprattutto una regione tedesca confinante con la Svizzera, quella del Baden-Württemberg (che andrà alle urne il 13 marzo prossimo), che potrebbe pagare il conto più salato. Tant’è che un eurodeputato di quel Land, ieri, nel programma Europamagazin del canale pubblico Ard dichiarava: “Il fine dell’accordo di libero scambio delle merci e libero movimento delle persone è quello di dare ai 28 Stati dell’Ue e alla Svizzera le stesse opportunità. Non contempla invece che un singolo paese dica ‘vogliamo che queste opportunità valgano solo per i nostri cittadini’”.
Detto ciò il problema resta. Perché se la Svizzera introdurrà veramente un freno all’ingresso per i cittadini dell’Ue, tutti i trattati (in tutto sono 120) saranno immediatamente nulli. È vero che Bruxelles, di questi tempi, pare non avere una decisa linea politica, ma sulla libertà di movimento non ha fatto concessioni nemmeno al premier britannico David Cameron.
L’annullamento dei trattati sarebbe un duro colpo anche per la Svizzera. Oltre metà del commercio elvetico è concentrato in Europa, come si evince sempre dai dati dell’Istituto di statistica elvetico del 2014. Al primo posto c’è la Germania (import 51,3 miliardi di franchi svizzeri, export 38,6 miliardi) seguita dall’Italia (import 17,6 miliardi, export 13,8 miliardi). E poi ci sono progetti strategici in comune, come quello del tunnel ferroviario del Gottardo.
Non sono più i tempi d’oro del 2004, quando l’interscambio tra Svizzera e Germania raggiungeva (sia nell’export sia nell’import) i 107 miliardi di franchi svizzeri.
E anche le relazioni politiche non sono delle migliori: per Berlino la Svizzera continua a essere un paradiso fiscale, e la cancelliera tedesca Angela Merkel ha atteso 7 anni prima di fare visita a Berna l’anno scorso.
Soprattutto, per Berlino la chiusura elvetica appare come una paradosso: perché mentre la Germania si confronta con centinaia di migliaia di profughi da integrare, a cui va insegnata la lingua, un mestiere e che possiedono spesso poco più di quel che indossano, in Svizzera arrivano migranti (tedeschi, ma non solo) di lusso: con un’alta preparazione scolastica e professionale e spesso anche benestanti.
Ma è proprio questo che, stando ai sondaggi di opinione, gli svizzeri temono: i cittadini dell’Ue arrivano ben preparati e accettano stipendi più bassi di quelli che vengono pagati loro.
Ora però bisogna trovare la quadratura del cerchio. Cosa non facile, perché, ha ricordato l’ambasciatore svizzero a Bruxelles Roberto Balzaretti, “o si trova un accordo tra Ue e Berna oppure governo e parlamento elvetici devono procedere. Gli esiti dei referendum in Svizzera sono vincolanti per le istituzioni”.