Questa mattina la VI Commissione permanente (Finanze) alla Camera dei Deputati ha ascoltato in audizione il Capo del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria della Banca d’Italia Carmelo Barbagallo.
Il focus è stato sulle misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo e altre misure in materia bancaria.
Di seguito una sintesi dei principali messaggi di Barbagallo:
- Il decreto si muove lungo la giusta direzione. Ne condividiamo la filosofia di fondo e i principali contenuti.
- L’obiettivo della riforma del credito cooperativo è rendere il settore in grado di competere in un contesto europeo caratterizzato da profondi mutamenti sul piano delle regole prudenziali, dell’attività di vigilanza, del livello concorrenziale. Il decreto legge consente di realizzare questi obiettivi, gli elementi chiave della riforma rispondono alle esigenze di stabilità e consolidamento del settore.
- A fronte di un giudizio complessivamente positivo, riteniamo tuttavia necessari interventi migliorativi su alcuni aspetti specifici, ma cruciali, affinché la riforma possa dispiegare appieno i suoi benefici.
I punti di attenzione
- La governance del gruppo deve favorire un miglior indirizzo delle attività e il controllo dei rischi delle singole BCC, accompagnare il sostegno patrimoniale con corretti incentivi gestionali, prevenire l’azzardo morale. Questi risultati si realizzano attribuendo alla capogruppo adeguati poteri di direzione e coordinamento. La capogruppo deve poter esercitare poteri pregnanti di nomina, revoca, sostituzione degli organi delle controllate. Prevedere tali poteri soltanto in casi “motivati ed eccezionali” rende debole la capacità di direzione e coordinamento della capogruppo, con pregiudizio per la stabilità delle singole banche e del gruppo nel suo complesso
- La norma dispone che la maggioranza del capitale della capogruppo sia detenuta dalle BCC aderenti al gruppo. Occorrerebbe tuttavia prevedere la possibilità per le autorità – il MEF su proposta della Banca d’Italia – di autorizzare, per ragioni di stabilità, le BCC a scendere sotto la soglia della maggioranza del capitale della capogruppo nei casi di difficoltà patrimoniali di rilevanza tale da mettere a rischio la stabilità del gruppo o di sue componenti rilevanti.
- Il decreto prevede che i poteri normativi di attuazione dell’articolo 37-bis del TUB siano attribuiti al MEF, sentita la Banca d’Italia. Una ripartizione di competenze regolamentari più appropriata e funzionale potrebbe essere basata sul criterio per cui al MEF, sentita la Banca d’Italia, competano le scelte volte a orientare l’adeguatezza dimensionale e la capacità di accesso al mercato dei capitali mentre alla Banca d’Italia competa l’attuazione della riforma negli altri aspetti di contenuto prudenziale e di vigilanza.
- Non risultano chiare le ragioni per cui è stata eliminata dall’articolo 36 del TUB la possibilità, per una BCC, di fondersi in una banca popolare. Fino a quando non sarà completata la transizione delle BCC al nuovo assetto di gruppo, l’incorporazione di una BCC in una banca popolare costituirebbe un’opzione comunque utile per gestire situazioni di difficoltà.
Way-out
- Da un punto di vista di vigilanza, va sottolineata la situazione di incertezza che si verrebbe a creare, nella fase di transizione, sul numero e sulle dimensioni delle BCC che farebbero parte di gruppi cooperativi. È auspicabile che sia chiarito il carattere eccezionale della way-out. Andrebbe prescritto che la facoltà è esercitabile in un circoscritto arco temporale e soltanto da quelle BCC che presentano il richiesto ammontare dell’aggregato patrimoniale a una precisa data passata di riferimento.
- Di fatto, la way-out potrebbe essere un’opzione a disposizione degli intermediari dotati di più elevati margini rispetto ai coefficienti patrimoniali obbligatori. Gli intermediari più fragili, incapaci di sopravvivere autonomamente dopo la corresponsione dell’imposta straordinaria, non avrebbero viceversa alternative all’adesione ad un gruppo cooperativo paritetico.
- La soluzione che prefigura strutture di gruppo in cui si avrebbe una banca s.p.a. controllata dalla cooperativa conferente perpetuerebbe gli attuali vincoli ed elementi di debolezza in quanto l’assetto proprietario rimarrebbe invariato con la sola differenza che i diritti verrebbero esercitati dalla cooperativa conferente. Le ridotte dimensioni dei gruppi risultanti dalla trasformazione, difficilmente compatibili con l’ingresso di investitori esterni e con la quotazione del capitale, e il controllo inizialmente totalitario della holding cooperativa sulla banca s.p.a., costituirebbero altrettanti ostacoli a una rapida ricapitalizzazione in caso di necessità; inoltre, assetti proprietari caratterizzati dal frazionamento della base sociale e dalla non contendibilità del controllo finirebbero per riproporre alcuni limiti della governance cooperativa, quali i condizionamenti dei gruppi di interessi locali o di singole personalità. Per queste ragioni, la Banca d’Italia ha già espresso il proprio orientamento non favorevole su strutture della specie in occasione della riforma delle banche popolari.
- Andrebbe valutato se la misura prevista per l’imposta straordinaria (20%) non conceda vantaggi ingiustificati a chi esercita l’opzione di uscita, risultando inferiore al complesso delle agevolazioni fiscali ricevute dalla cooperativa nel corso del tempo. Andrebbe valutata la conformità dello schema alla disciplina europea degli aiuti di Stato: eventuali incertezze su tale profilo renderebbero problematico il rilascio delle necessarie autorizzazioni.
GACS
- La misura introdotta con la GACS è un progresso nella direzione dello sviluppo del mercato dei crediti deteriorati perché pone termine all’incertezza dei mesi scorsi e, quindi, mette in grado gli operatori di fare le proprie scelte in un quadro definito. L’efficacia complessiva della misura potrà essere valutata nel tempo, sulla base delle reazioni degli operatori e di un’analisi dei suoi effetti.