L’ammaestramento più efficace dell’educazione americana – quello dell’indebitamento compulsivo – trova il suo esito più logico nell’andamento del debito studentesco, che non solo cresce senza sosta, ma esibisce dei tassi d’insolvenza che avrebbero fatto arrossire i vecchi mutuatari subprime. Quasi che la debt jungens statunitense si avvii a incarnare la nuova categoria di coloro i quali saranno chiamati a portare sul capo la colpa del prossimo caos finanziario. Caos generazionale stavolta, come peraltro è logico che debba essere, visto che potremmo raccontare la crisi del nostro tempo come lo scontro di due diversi modelli sociali che trovano nella demografia – e quindi nelle generazioni – la linea di faglia e di confine, con la prima di queste generazioni provvista di tutto, e quindi prodiga del superfluo, e la seconda al contrario provvista solo del proprio diritto/dovere a farsene carico.
Tale dramma è visibile nella contabilità del debito americano, che la Fed di New York fotografa con la sua notoria sollecitudine, come peraltro potremmo leggerla altrove: nei discorsi dei sociologi da bar, nelle semplificazioni giornalistiche – esemplare la distinzione fra baby boombers e millenials, con in mezzo una generazione X a far da spartiacque e collante – nei conflitti fra nonni milionari e ancora in odore di accumulo e nipoti disoccupati ma addestrati a un’ozio dolce e griffato. Ma poiché di debito qui si discorre, è opportuno narrare l’epopea del debito privato americano che come un faro guida la nostra traversata davvero oceanica non tanto verso una terra promessa, quanto verso una promessa di liberazione che, se mai arriverà, non potrà che passare attraverso un redde rationem di cui adesso si iniziano a delineare i contorni.
E la prima circostanza che salta all’occhio, osservando il grafico interattivo messo a disposizione dalla Fed, è che ormai le famiglie Usa, quanto a debiti, sono ormai quasi al livello del quarto trimestre del 2008, quando il mondo iniziò a terminare, ma solo per ritrovarsi di nuovo dov’era al termine di questo terminare.
All’epoca il debito per l’housing raggiungeva i 9,96 trilioni e quello non housing i 2,71 trilioni. Un totale di 12,68 trilioni di dollari di debiti, vicino quindi al 12,12 trilioni registrati nel quarto trimestre del 2015, il che racconta esemplarmente l’epopea di questo settennio disgraziato che finisce con appena un 4,4% in meno di debiti rispetto al 2008 al costo di un allentamento monetario e di un impegno pubblico che mai si erano visti prima.
Di diverso, da allora, c’è soltanto la composizione di questi debiti. L’housing non supera gli 8,74 trilioni, mentre il resto svetta verso i 3,36 trilioni, a un livello mai osservato negli anni recenti. Segno evidente che l’immobiliare suscita ancora qualche residuo pentimento – e quindi una certa prudenza – che però le altre modalità di indebitamento hanno in qualche modo compensato. Detto in altro modo: gli americani – forse – sono più prudenti quando si tratta di chiedere un mutuo (o magari i debiti per i mutui pesano meno perché sono diminuiti i tassi), ma nel frattempo hanno riscoperto l’antica abitudine a largheggiare quando si tratta di tutto il resto.
Ed è in questo largheggiare – che potremmo anche leggere come prova dell’incrollabile fiducia che il popolo ancora nutre verso il sogno americano, e per questo ammirarli persino, con un pizzico di benevola invidia – che il debito studentesco gioca la sua partita da protagonista.
Due numeri raccontano tutta la storia. Il primo ci dice che il 10% del totale dei debiti privati sono debiti studenteschi, quindi parliamo di oltre 1,2 trilioni di dollari. Il secondo ci dice che l’11,5% di questo aggregato era in ritardo di oltre 90 giorni o addirittura in default alla fine del 2015. E un grafico mostra con chiarezza che è l’unica categoria di prestiti ad avere questi livelli di sofferenza. Per dire, ai tempi dei mutui subprime i default o le sofferenze sui mutui non arrivarono neanche a metà di quelli attuali degli studenti. Anzi, i prestiti agli studenti sono gli unici ad avere sofferenze in crescita e sarebbe strano stupirsi del contrario: gli studenti, con i loro prestiti, si sono fatti carico dello spostamento della linea di faglia che ha generato il terremoto del 2008. Essi, in qualche modo, hanno compensato il de-leveraging degli adulti aumentando il loro indebitamento, visto che un universo rutilante come quello statunitense è impensabile possa sopravvivere al proprio successo se l’aggregato del consumo non rimane stabile. E’ così dai primi anni ’50, quando i consumi Usa esplosero, e non è più cambiato da allora.
Si può osservare questo spostamento di carico del peso del debito da un altro grafico e notare un’altra curiosa evoluzione dell’odissea americana. Qui si può notare che un peso importante del debito totale si è spostato dalla classe dei 30-40enni a quella degli ultra 50enni, con la conseguenza che si è allungata l’età dove si concentra il picco dei debiti, prima intorno ai 40, ora intorno ai 50. Il che, considerando come tale evoluzione sia avvenuta fra il 2003 e il 2015 può essere semplicemente un effetto del trascinamento di debiti che sono invecchiati con i loro detentori. Ma in ogni caso rimane il fatto: sembra che vecchi e bambini si siano fatti carico di gran parte dell’aumento più recente del debito negli Usa. Prima vecchi e bambini, dicono i marinai per scampare ai naufragi. Anche i finanzieri a quanto pare.
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