Spero che chi è contro l’utero in affitto per nove mesi (io lo sono) sia anche contro l’affitto dell’utero per nove minuti (se poi per qualche minuto in più o in meno, dipende ovviamente dalle circostanze e dai gusti personali). Vasto programma? Può darsi. Beninteso, non mi sfugge la differenza che passa tra la maternità surrogata, dove entra in gioco – come ha scritto Giuliano Ferrara sul Foglio – lo statuto ontologico della filiazione, e la sessualità retribuita. Forse siamo ormai tutti burattini di ormoni egoisti, per riprendere la famosa metafora di Richard Dawkins, ma ambedue le scelte (che mercificano il corpo) contraddicono il principio kantiano e cristiano di trattare la persona sempre come un fine e mai solo come un mezzo. In questo senso, la nostra ipocrisia (o cattiva coscienza?) è capace di scalare le vette dell’Everest. Naturalmente, esistono donne che scelgono in piena libertà di vendere il proprio corpo, ed esistono anche donne che accettano una gravidanza per conto terzi in modo disinteressato. Ma esse rappresentano con tutta evidenza una sparuta minoranza, l’eccezione che conferma la regola.
Per riassumere: l’utero in affitto per fare un figlio è un ignobile mercimonio (sono sempre d’accordo), l’affitto dell’utero per fare quello che tutti sanno è invece solo un costume. In fondo, nemmeno tanto riprovevole. Del resto, la prostituzione non è il mestiere più antico del mondo? Si spiega così anche l’inspiegabile, e cioè che qualche uomo pio in Italia, che considera un delitto la maternità surrogata, magari ami trascorrere da solo le sue vacanze in India, in Messico, in Thailandia (Paesi dove si fabbricano bambini su scala industriale). Il motivo lo lascio immaginare ai lettori.
Sarò un fottuto moralista, ma confesso che la cosa non mi lascia indifferente. Tuttavia, me ne farò una ragione. D’altro canto, il dibattito pubblico di questi giorni sulle unioni civili dimostra che il mercato dell’etica spesso è capace di esibire sui suoi banchetti solo un po’ di etica a buon mercato. Diciamoci le cose come stanno: quando discutono di famiglia o di bioetica, di matrimonio o di morte degna, troppi credenti e non credenti sono pronti a manipolare il confronto tra valori per meschini interessi di partito e di bottega elettorale.