
“Noi aiutiamo le imprese e i territori nella ridefinizione della loro strategia e disegniamo e costruiamo con loro programmi di patrimonializzazione e valorizzazione. Partendo dall’idea che l’impresa sia essa stessa un’opera s’arte, seguiamo da vicino molti artisti ospitando mostre nei nostri spazi e creando occasioni di incontro tra impresa e arte”.
Ha le idee chiare il fondatore di Nomos Value Research Mario Suglia che incontro poche ore dopo l’inaugurazione di “Cosmic Milk” la nuova mostra d’arte realizzata da Michele Giangrande nell’ambito della rassegna Interzone, curata dallo storico dell’arte Christian Caliandro.
La mostra sarà visitabile fino a luglio negli uffici romani di Nomos (Viale Gorizia 52).
“Il ciclo – prosegue Mario Suglia – è stato concepito per svolgere una riflessione articolata sui temi legati alla storia individuale e collettiva, al rapporto con la memoria e soprattutto ai diversi modi in cui il tempo si concretizza nello spazio. Un tema di grande importanza per chi si occupa di impresa, per chi ogni giorno cerca di sviluppare un programma e di definire progetti da condividere con altri. Tutto si regge sul rapporto spazio, tempo e azione; elementi fortemente interconnessi, dove lo spazio sembra dare origine agli altri due. Chi progetta spazi, come imprenditore, architetto o artista non può non porsi ogni volta una domanda: ma questo spazio quale tempo genera? Questo vale per un’impresa, così come per un territorio. Ecco dunque il punto di partenza del Programma Cultura di Nomos per il biennio 2015/2016”.
La mostra
Il terzo appuntamento di INTERZONE, concepito e realizzato da Michele Giangrande, si intitola “Cosmic Milk”, la tonalità cromatica che, secondo recenti studi, rappresenta il vero colore dell’universo. Le opere esposte sono dunque sequenze che indagano lo spazio/tempo da un punto di vista, di volta in volta, scientifico e spirituale. Un viaggio che parte dalla scrittura con la “Writing Series”, comuni fogli A4 ricoperti di strati e strati di scrittura con penne a biro di diversi colori.
Le opere così realizzate sembrano dipingere una storia culturale dell’umanità – dalla luce all’oscurità, e viceversa – attraverso testi letterari e formule matematiche che, ripetuti sulla pagina, accedono a una dimensione ulteriore di esistenza. Il gesto stesso della scrittura si spazializza e si temporalizza, si trasforma in una pratica quasi mistica in cui la manualità è la via per accedere a una forma diversa, visiva, di consapevolezza.
La stessa tecnica è riproposta nel grande dittico che mette a confronto due punti di vista complementari sull’origine dello spazio/tempo: quello della religione e quello della scienza. Così, la Genesi, il primo capitolo della Bibbia, è accostato alle pagine del saggio (The Beginning of the World from the Point of Quantum Theory, 1931) in cui Edouard Georges Lamaitre, fisico e astronomo belga, ma soprattutto padre gesuita, espone per la prima volta la teoria del big bang, ricondotta a ciò che egli definisce “atomo primitivo”. Opera centrale della mostra sono le tre lastre di ottone di “Pillars of Creation (Time, Space, Gravity)” che compongono una sorta di pala d’altare contemporanea, in cui queste tre dimensioni della realtà e dell’universo vengono declinate in maniera brillante e poetica. Il titolo del lavoro riprende quello della famosa fotografia scattata dal telescopio spaziale Hubble il 1 aprile 1995 alle colonne di gas interstellare nella Nebulosa Aquila. L’opera si ispira inoltre alle placche commemorative poste a bordo delle sonde Pioneer 10 e 11 nel 1972 e nel 1973: insieme alle immagini di un uomo e di una donna, sulle placche erano presenti i simboli con le informazioni fondamentali sul mondo di provenienza. Tra gli estremi dell’origine e della proiezione nel futuro si muove questa riflessione condotta in forma espositiva.