Lo sconfitto è il senatore della Florida repubblicano Marco Rubio, che resta a mani vuote, mentre il governatore dell’Ohio John Kasich non incassa né Stati né voti, ma almeno ha l’endorsement, un po’ a sorpresa, di un figlio di Ronald Reagan, Michael, che lo considera in grado di “portare avanti l’eredità di mio padre”.
Ma i voti non finiscono mai: oggi, tocca ai democratici nel Maine (con la formula dei caucus); martedì ai democratici nel Michigan e nel Mississippi e ai repubblicani negli stessi due Stati e, inoltre, alle Hawaii e nell’Idaho; e sabato ai repubblicani di Washington Dc.
Fra i democratici, Hillary Clinton si conferma la ‘regina del Sud’, dove non sbaglia un colpo, ribadendo, però, anche la sua idiosincrasia per la formula delle assemblee, i caucus: le perde sia in Kansas che in Nebraska, mentre vince le primarie in Louisiana. E come Stati adesso siamo 11 a 7, tra lei e Sanders, ma il suo vantaggio nei delegati non viene sostanzialmente eroso: anzi, per la Associated press, l’ex first lady ne ottiene una manciata più del senatore del Vermont, 55 a meno di 50 (i dati non sono definitivi): complessivamente lei è quasi alla metà dei 2.383 necessari per la nomination, Sanders a meno di un quarto.
Fra i repubblicani, che votano in quattro Stati e che vi registrano affluenze record, Ted Cruz s’impone in Kansas e Maine, mentre Trump è primo in Louisiana e Kentucky: come Stati, adesso, siamo 12 a 5, con Rubio fermo a uno. “Voglio una sfida a due con Ted”, dice subito lo showman, che pare avere fretta di liberarsi di Rubio, per cui – afferma – “è il momento di lasciare”: nel Super Sabato, è arrivato sempre terzo e perfino quarto nel Maine.
Cruz ha vinto molto nettamente nel Kansas, dove ha sfiorato il 50%, e bene nel Maine, che, però, osserva maliziosamente Trump, “è vicino al Canada”, dove il senatore del Texas è nato. “Vorrei proprio che il match fosse tra me e lui”, dice il magnate dell’immobiliare: “Lui non vince a New York, non vince in New Jersey, non vince in California”.
Cruz replica: “Sarebbe un disastro se fosse Trump il nostro candidato… la gente vuole stare con il conservatore più forte in gara… continuiamo ad accumulare delegati, ma fin quando il campo sarà diviso, ciò sarà un vantaggio per Trump”, insistendo che “è necessario che il campo si restringa”, cioè – nella sua ottica – che Rubio e Kasich si tolgano di mezzo.
Trump, che s’è definito il candidato “più presidenziale della storia con l’onesto Abramo Lincoln“, invita l’establishment del partito a non mettere in campo un candidato ‘moderato’ contro di lui, assicurando di avere in mente per la Corte Suprema, un nome che li renderebbe “molto felici” (peccato spetti al presidente Barack Obama farlo).
Nel sabato elettorale, c’è stato pure un insolito siparietto: Trump e Cruz si sono presentati a fare campagna ‘last minute’ nella stessa assemblea del Kansas.
Più scontate, e meno velenose, le dichiarazioni democratiche. “Invece di costruire muri dobbiamo abbattere barriere… la diversità è la nostra forza, non la nostra debolezza”, afferma Hillary Clinton.
Sanders rivendica un successo soprattutto morale. “Lo slancio è dalla nostra: abbiamo un sentiero verso la vittoria. La nostra campagna è appena iniziata, andiamo dritti verso la Convention di Filadelfia”, dice, parlando ai supporter nel Michigan dove avrà un dibattito televisivo con la Clinton a Flint, la città del regista Michael Moore, al centro di uno scandalo per le acque tossiche. Sarà, per l’ex segretario di Stato, la prima volta sulla Fox da due anni.
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