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Versalis, Congo, Egitto. Ecco le prossime vendite di Eni?

Sono 7 miliardi di euro in più, pronti a colmare il gap tra il prezzo del petrolio e le stime di crescita di Eni. Così, quei proventi extra da dismissioni che l’ad Claudio Descalzi ha inserito nel nuovo piano strategico 2016-2019 andranno a costituire una sorta di riserva cash in aggiunta alle altre misure messe in atto contro il mini-barile, dalla riduzione dei costi operativi all’accelerazione dell’entrata in produzione dei nuovi giacimenti.

COSA HA DETTO IL CFO ENI

Le nuove dismissioni applicano il dual exploration model seguito dal top management del gruppo: sul mercato saranno messe quote di giacimenti già esplorati o in fase avanzata di esplorazione e quindi con riserve certe, per ridistribuire il peso degli investimenti ma lasciando all’Eni il ruolo di operatore. L’incasso previsto nel piano va considerato al lordo delle tasse, come ha precisato agli analisti il cfo Massimo Mondazzi, quindi in cassa entrerà qualcosa in meno. In compenso non sono attese ripercussioni sul controvalore delle future dismissioni. «I nostri asset rimangono appetibili per i potenziali acquirenti», ha spiegato Mondazzi, «grazie a elevata qualità, taglia, posizionamento geografico e struttura dei costi competitiva».

DOSSIER BARILE

Per dare un’idea di quest’ultima voce, il costo medio dei progetti upstream è già sceso a 20 dollari al barile dai 30 dollari del 2014. Nei prossimi quattro anni, insomma, Eni procederà a diluire le sue quote nelle recenti scoperte. Il beneficio sarà immediato, perché andrà ad anticipare il cash flow riducendo il capex. Eni , in sostanza, riscuoterà cash le risorse da reinvestire in quegli stessi giacimenti. Ma quali potrebbero essere gli asset in vendita? Quelli che hanno tutti i requisiti per essere inseriti nel dual exploration model sono almeno tre: l’area 4 del Mozambico (Eni 50%), Nené Marine in Congo (Eni 65%) e naturalmente l’ultimo arrivato Zohr, in Egitto (Eni 100%).

COSA DICONO I REPORT

Anche secondo le banche d’affari i tre principali fronti di dismissione saranno questi. Fidentis, per esempio, scommette in particolare su Mozambico e Zohr, mentre nell’analisi di Kepler rientrano anche i giacimenti congolesi. Kepler azzarda una possibile previsione sull’entità del pacchetto che Eni potrà cedere in Zohr, stimandolo nel 40%. Per gli analisti di Bernstein i tempi saranno abbastanza stretti. Già quest’anno nelle casse del Cane a sei zampe potrebbero entrare 2,5 miliardi e altrettanti nel 2017. Come benchmark, Bernstein ricorda la cessione del 20% dei giacimenti mozambicani al gruppo cinese Cncp per 4,2 miliardi di dollari, avvenuta a marzo 2013 (quando però il Brent quotava circa 110 dollari al barile).

GLI SCENARI

Oggi Eni potrebbe alleggerirsi di un altro 15% circa. Per Ubs, l’operazione avverrà entro quest’anno. Quanto ai tempi programmati per gli start-up, Zohr dovrebbe partire nella seconda metà del 2017, mentre per il Mozambico è previsto un avvio in più tempi, fino al 2019 perché devono essere approvate le cosiddette Fid, decisioni finali sull’investimento. Oltre ai giacimenti ci sono anche altri asset che concorrono a quei 7 miliardi stimati da Descalzi. Vi rientra per esempio la cessione della controllata chimica Versalis, mentre sarebbero esclusi il business del gas retail e la partecipazione residua in Saipem , quel 18% libero dagli accordi di lock up col Fondo Strategico di Cdp.

(Pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)



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