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Blair e quella voglia di far la guerra

E così, in un’intervista al Corriere della Sera, Tony Blair ci parla di quel che gli riesce meglio, evidentemente: come fare una guerra inutile. Non sembra aver imparato dall’errore, da lui stesso riconosciuto, della guerra contro l’Iraq e tutto quello che ha comportato. Perché se non è chiaro ai più: le conseguenze le stiamo pagando ancora oggi e continueremo a pagarle anche domani.

Era la retorica, bugiarda e pericolosa, dell’esportare la democrazia. Già, abbiamo esportato talmente bene la democrazia che abbiamo fatto implodere interi sistemi politici sostituendoli con l’anarchia e lasciando a gruppi criminali e terroristici ampie praterie da conquistare. E nessuno si azzardi a sostenere che questa semplice constatazione di verità è un modo per giustificare alcunché. No, si tratta solo di essere consapevoli e onesti con se stessi prima di tutto. E se la storia ha uno scopo, forse è quello di consentirci di apprendere dagli errori fatti, sperando di indirizzarsi verso scelte più sensate.

Riprendendo quel che ho scritto in altri post, e che è stato detto da Enrico Letta in un’intervista recente a Di Martedì: è cambiato anche il concetto di guerra. Gli attentatori di Parigi e di Bruxelles, per citare i due casi più recenti, non sono venuti da un villaggio sperduto del medio oriente: no, sono nati e cresciuti nelle nostre città. Di grazia, dove dobbiamo bombardare per sconfiggere degli attentatori che nascono e crescono in seno all’Europa? Le periferie di Parigi e Bruxelles? Dopo le madornali catastrofi create con guerre frettolose e infondate, se mai una guerra possa avere un fondamento, vogliamo davvero ripetere l’errore?

Abbiamo rovesciato dittature qua e là, sostituendole con il vuoto. Abbiamo lasciato situazioni talmente precarie, caotiche e drammatiche, come in Libia, che davvero c’è da chiedersi: ma come si fa a pensare che queste siano state le scelte giuste? E come si fa a credere che possano esserle tutt’oggi.

Afferma Blair:

“Sarebbe meglio oggi avere ancora alcuni di quei dittatori in carica? Si può discutere. Ma le popolazioni non lo avrebbero tollerato. Non fummo noi la causa. Noi fummo coinvolti.”

Non so francamente cosa pensare, sapendo che quelle popolazioni sono state massacrate come mai prima e tutt’ora vivono nel terrore e nell’orrore di finire ammazzate o per mano di gruppi di fanatici islamisti o di bombe presunte intelligenti. Siamo al paradosso.

Di questa intervista condivido solo alcune cose, una di queste è la seguente affermazione:

“(…) E come dicevo prima, tutto comincia dall’educazione”

Esatto: l’educazione. E come si pensa di fare l’educazione attraverso le bombe, gli stivali e le mine? Che razza di educazione sarebbe questa? Si tratta di tutt’altro. Si tratta di una sfida culturale e sociale che è prima di tutto da vincere qua, nelle nostre comunità. Dove inclusione e integrazione dovrebbe diventare le urgenze politiche europee dei prossimi anni. E lo si fa con la cooperazione, come ammette Blair stesso, per fortuna, anche in quei posti del mondo dove esistono sistemi culturali e politici diversi dai nostri. Bisogna partire da un’alleanza di valori e di obiettivi comuni, quelli della dignità dell’uomo e del rispetto della vita. E lo si fa a prescindere dal proprio credo religioso, orientamento politico o luogo di nascita.

Fare la guerra a una indefinita nazione ISIS non risolverebbe, come in passato altri casi simili non hanno risolto, il problema alla radice: siamo tutti consapevoli che è una ideologia di odio e rabbia che si è diffusa e che fa proseliti, in modi disparati, ovunque nel mondo. Facendo leva su persone che vivono qua e là. Non è pensabile, seriamente, di fare guerra a qualche nemico concreto e circoscritto: quelli sono spazi instabili e frastagliati. Dove si chiude un problema, ne nascono altri più grossi.

Si tratta di riflessioni a caldo, devo dire, fatte dopo i fatti di questi giorni e dopo aver letto questa intervista: serve un’alleanza civile tra popoli. Serve che sia offerta e garantita sicurezza a tutte e tutti, e riconoscere la necessità urgente di cambiare un paradigma di azione politica. La guerra non è mai una soluzione. Reprimere un gruppo non è mai sufficiente affinché l’ideologia di odio che ha propagato possa essere sconfitta e sostituita da una filosofia di pace.



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