A Matteo Renzi – si sa – piace stupire, spiazzare, sparigliare le carte. Quando propose solo donne come capolista alle elezioni europee (maggio 2014), un notabile meridionale del Pd – ora alfiere del no Triv (e un po’ del “no Tutto”) – masticò amaro, mal sopportando di essere scalzato da una cinquina da lui bollata come uno specchietto per le allodole. Essendo un ex magistrato, il mio conterraneo Michele Emiliano conosceva sicuramente “Les six livres de la République” (1576), in cui il grande giurista Jean Bodin non esitava a confinare le donne ai margini della vita civile, ritenendo che dovessero occuparsi solo delle loro faccende domestiche. Beninteso, oggi non c’è democratico che contesti le quote rosa e la parità di genere. Inoltre, nemmeno lo stesso governatore della Puglia oserebbe pensare che Alessandra Moretti, tanto per fare un nome,”c’est la peste de l’air, l’Erynne envenimée”. Proprio così, infatti, il poeta protestante Théodore Agrippa d’Aubigné descriveva nel 1616 Caterina de’ Medici. Secondo la storica Cesarina Casanova, l’Erinni velenosa – che rende irrespirabile l’aria con la sua perfidia e le sue diaboliche macchinazioni – è il distillato di tutti i cliché che il Rinascimento attinge dalla cultura misogina medievale: la donna al potere vista come una beffa della natura, tendenzialmente strega, lussuriosa, incestuosa, eretica (“Regine per caso”, Laterza, 2014).
Nondimeno, mai come nell’Europa del Cinquecento un numero tanto rilevante di donne -figlie, sorelle, mogli, madri, amanti – ha avuto accesso ad elevate responsabilità di governo. Farne l’elenco completo non è possibile. Basti pensare alla citata Caterina de’ Medici (1519-1589), che per un trentennio ha retto la Francia in uno dei periodi più tragici e sanguinosi della sua storia. In una celebre requisitoria, Jules Michelet ne ha farà l’incarnazione della doppiezza e della cattiveria femminile. Nella “Comédie Humaine”, Honoré de Balzac ne esalterà invece la politica di tolleranza e di riconciliazione, che avrebbe consentito alla monarchia transalpina di superare una delle sue prove più difficili dopo ben otto guerre di religione e il massacro degli ugonotti nella notte di San Bartolomeo (23-24 agosto 1572).
Questo illustre corteo di signore al potere non rivela un miglioramento giuridico della condizione delle donne. Dimostra tuttavia che molte tra loro hanno saputo far valere le proprie ambizioni e la propria intelligenza -e anche la loro bellezza- a dispetto dei pregiudizi maschili. Come ha scritto Benedetta Craveri in “Amanti e regine” (Adelphi, 2008), per quanto spettacolari i loro successi costituiscono la somma di casi individuali, non si saldano mai in un’unica storia. Perché ” la Storia rimane appannaggio ufficiale degli uomini, e per inserirsi nei suoi ingranaggi senza venirne stritolate, bisogna mascherarsi, giocare d’astuzia, crearsi alleati potenti, distribuire favori, sedurre, corrompere, punire – e sapere, al momento giusto, uscire di scena”.
Da allora molto è cambiato nella condizione giuridica e sociale delle donne, ma molto deve ancora cambiare nella cultura maschile del potere.