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Ecco le mire della Cina sul nucleare

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L’ultimo Nuclear Security Summit che si è concluso la settimana scorsa a Washington (qui il punto di Emanuele Rossi) ha riportato l’attenzione sul tema delle dotazioni nucleari, tanto caro alla comunità internazionale e ai Paesi singolarmente presi. In genere la tensione corre tra la non proliferazione e la volontà di migliorare e approfondire le proprie dotazioni, sia in termini civili sia militari.

In quest’ottica un Paese di grande interesse è la Cina. Fonti dell’intelligence Usa prevedono che entro 20 anni la Cina sarà la più grande nazione nucleare al mondo, con una produzione di oltre un trilione di kWhs all’anno e una dotazione di armi nucleari capaci di costituire un valido deterrente anche nei confronti degli Stati Uniti.

Questa prospettiva è corroborata dai dati riportati da Forbes secondo cui con una spesa di circa un trilione di dollari la Cina punta a costruire 40 nuovi reattori entro il 2020, a cui se ne aggiungeranno un centinaio entro il 2030 e oltre 200 entro il 2050. Basti pensare che proprio nelle ultime settimane due nuovi reattori – uno nella provincia di Liaoning e uno in quella di Fujian – hanno iniziato a fornire energia alla rete elettrica. Certamente il nucleare rappresenta una fonte strategica per rispondere all’emergenza climatica vissuta dal Paese, ma anche un mezzo per garantire energia a una classe media in continua espansione.

Oltre alle sue esigenze interne il Paese pensa anche all’export. Nell’ultimo quarto del 2015, infatti, Xi Jinping  ha firmato con la Gran Bretagna un accordo di 40 miliardi di sterline che servirà a finanziare la nuova generazione di energia nucleare del Paese europeo. La Cina – che ricordiamo è in attesa di sapere se entro dicembre 2016 gli sarà riconosciuto lo status di economia di mercato nell’ambito dell’Omc, con tutte le conseguenze in termini commerciali che ne deriverebbero – si presenta così anche come grande esportatore di tecnologia nucleare, con l’Ue nella lista dei mercati di sbocco. 

Il fatto che la risorsa nucleare rappresenti un asset di cui non si può facilmente fare a meno – per la produzione di energia  e questioni di deterrenza, ma anche per diagnosi e cure mediche – fa comprendere ancora di più quanto grande sia il bisogno di controllarne lo sviluppo e garantirne la sicurezza. Soprattutto in considerazione della minaccia terroristica che si muove intorno ai talloni d’Achille della società occidentale.

In quest’ottica la relazione Usa-Cina che si è costruita nel corso di questi sei anni di Nuclear Security Summit e che si sta rafforzando sempre di più è motivo di speranza, che controbilancia una momentaneo – forse politico – passo indietro fatto dalla Russia, che quest’anno ha deciso di non presentarsi al Summit. Quello della Russia è un dossier delicato, ma gli addetti ai lavori non hanno mai messo in discussione l’impegno del Paese a garantire il suo sostegno alle attività internazionali di riduzione e monitoraggio delle dotazioni nucleari dei Paesi.

Durante la conferenza stampa che ha preceduto il Nuclear Security Summit il sottosegretario per il Controllo delle armi e la sicurezza internazionale del Dipartimento di Stato usa, Rose Gottemoeller, ha ricordato: “Nel 1996 fu proprio il presidente russo Yeltsin a ospitare il primo summit per la sicurezza nucleare. La Russia si è anche assunta le sue responsabilità per rimuovere dall’Iran l’uranio altamente arricchito. Abbiamo lavorato molto con loro negli anni e continuiamo a farlo per l’implementazione del nuovo trattato Start”.

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