Skip to main content

Ecco i voti (non sempre buoni) dell’Ocse alla Germania

germania, merkel

La pagella dell’Ocse (Organizzazione della cooperazione e dello sviluppo economico) sullo stato dell’economia tedesca è nel suo complesso soddisfacente. Il rapporto pubblicato in settimana parla di una buona tenuta economica, nonostante il rallentamento della crescita a livello mondiale, di un mercato del lavoro in piena salute (la disoccupazione si è attestata al 4,5 per cento) e di una qualità della vita soddisfacente. Queste sono le buone notizie.

TRA BUONE NOTIZIE E FATTORI NEGATIVI

Il quadro tracciato dall’Ocse, però, mostra anche diverse zona d’ombra. La Germania, infatti, non sfrutta a sufficienza la congiuntura positiva che sta attraversando, si legge nel rapporto. La crescita economica degli ultimi anni è stata in primo luogo supportata dai consumi interni e dall’export. Quest’ultimo cresciuto grazie all’industria (che contribuisce con il 22 per cento al Pil). Anche la svalutazione dell’euro ha contribuito alla crescita del settore, così come l’outsourcing di alcuni processi produttivi. Il rallentamento della crescita economica della Cina (che sta virando verso settori a più alto valore aggiunto), e di alcune economie emergenti, rischia però di indebolire in futuro questo bastione. Certo i consumi interni potrebbero in parte compensare la riduzione dell’export. Secondo i dati del rapporto questi dovrebbero crescere dell’1.8 per cento nel 2016 e dell’1.9 per cento nel 2017. Anche la spesa pubblica dovrebbe contribuire ad attenuare l’effetto, con una crescita del 2.9 per cento quest’anno, e del 2.3 per cento l’anno prossimo. Infine, si calcola un’eccedenza della bilancia dei pagamenti dell’8 per cento rispetto al Pil per quest’anno.

LE DIFFERENZE UOMO-DONNA

Una dei grandi problemi del Paese resta una sostanziale disparità di trattamento economico tra uomo e donna, che si manifesta soprattutto tra i lavoratori più altamente qualificati: tra questi solo l’11 per cento delle donne guadagna il doppio della media, mentre tra gli uomini la percentuale sale al 43 per cento. Particolarmente alto è, poi, il numero di donne che scelgono il part time per via dei figli, il che è dovuto in primo luogo alla mancanza di nidi e asili. Qui lo Stato dovrebbe muoversi molto più celermente. Anche il sistema fiscale tedesco, che tassa congiuntamente le entrate della coppia (“Ehegattensplitting”), rende in molti casi poco “vantaggioso” per l’economia familiare un tempo pieno per la donna. Il che spiega perché ben il 60 per cento dei “mini jobs” sono svolti da donne.  Riguardo alla tassazione gli esperti dell’Ocse suggeriscono, dunque, una fascia di decontribuzione più elevata.

IL CAPITOLO SCUOLA

Nel 2005, quando Angela Merkel si insediò alla guida del governo, aveva  sottolineato che l’economia tedesca, per continuare a crescere, doveva investire sulla scuola, perché per reggere la concorrenza globale lo strumento non era la quantità ma la qualità. Il sistema scolastico tedesco, invece, è tutt’ora classista. Dopo i quattro anni di elementare i corsi di studio si dividono: medie (frequentate prevalentemente da ragazzi delle classi più disagiate e dagli stranieri di seconda generazione), liceo (per i ragazzi più agiati), e il regno di mezzo della  media superiore (che dura due anni in meno del liceo). Questo sistema andrebbe riformato radicalmente.

DOSSIER INVESTIMENTI

Il vero punto dolente dell’attuale economia tedesca è, però, il capitolo investimenti. Nonostante la buona congiuntura, i guadagni in costante crescita, le entrare fiscali che permettono al ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble da tre anni consecutivi di non fare nuovi debiti e i bassi tassi di interesse, né lo stato, né i privati hanno colto l’occasione per aumentare gli investimenti, annotano gli esperti dell’Ocse. E’ vero che le imprese private tedesche investono, in rapporto ad altri stati europei, molto in ricerca e sviluppo, ma non in campi correlati come proprietà di ingegno, management qualificato e software.

Eppure, proprio gli investimenti in questi ambiti, sono indispensabili per reggere la concorrenza esterna. Così come indispensabile è una maggiore liberalizzazione del mercato dei servizi. Settori come le telecomunicazioni e le poste sottostanno ancora eccessivamente al controllo dello Stato. Inoltre, vanno aperti e sburocratizzati i servizi in rete, la libera professione e i prestatori di servizio autonomi quali idraulici, muratori, elettricisti e via dicendo.

Per quel che riguarda gli investimenti statali, infine, questi sono diminuiti costantemente soprattutto negli ultimi 5 anni (- 0,1  per cento nel 2014, dopo l’iniezione del 2010 dello 0,2 per cento del Pil per contrastare la crisi mondiale). Ancora più critica la situazione nei comuni dove gli investimenti sono in caduta libera dal 1997, anno in cui arrivarono allo 0,2 per cento, mentre nel 2014 si sono attestati al – 0,3 per cento.

×

Iscriviti alla newsletter