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Ecco come Papa Francesco guarda ai mezzi di comunicazione

Il prossimo 8 maggio la Chiesa celebra la giornata mondiale delle comunicazioni sociali, all’insegna del tema “Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo”. A tre anni dall’elezione al soglio pontificio, avvenuta il 13 marzo 2013, proviamo a raccogliere i temi principali della riflessione di Bergoglio sulla funzione dei media nel nostro tempo.

UN ECOSISTEMA MEDIATICO INQUINATO

In un discorso rivolto al coordinamento delle radiotelevisioni libere locali nel 2014, Francesco parla di “forme di inquinamento” che minacciato il nostro “ecosistema mediatico”, prima fra tutte la “disinformazione”, che consiste nel “dire la metà delle cose, quelle che sono per me più convenienti, e non dire l’altra metà” per difendere posizioni economiche, politiche, ideologiche. Rivolgendosi ai giornalisti di TV2000, lo stesso anno, il papa evidenzia la tendenza nei media a sottomettersi “alle mode, ai luoghi comuni, alle formule preconfezionate”, una comunicazione che “troppo spesso semplifica, contrappone le differenze e le visioni diverse anziché favorire uno sguardo d’insieme” e “rappresenta ogni fatto come emergenziale”, oscillando tra “allarmismo catastrofico” e “disimpegno consolatorio”, finendo per “saturare la nostra percezione con un eccesso di slogan” e “annullare la capacità di comunicare”.

I MEDIA TRA CHIUSURA E INCONTRO

Nel messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali del 2014 su “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro” emerge la preoccupazione di Bergoglio riguardo alla “velocità dell’informazione”, che “supera la nostra capacità di riflessione e giudizio e non permette un’espressione di sé misurata e corretta”. Nei social network, “la varietà delle opinioni espresse può essere percepita come ricchezza, ma è anche possibile chiudersi in una sfera di informazioni che corrispondono solo alle nostre attese e alle nostre idee”. In questo senso, “l’ambiente comunicativo può aiutarci a crescere o, al contrario, a disorientarci” e “il desiderio di connessione digitale può finire per isolarci dal nostro prossimo, da chi ci sta più vicino”.

DIRE LA VERITÀ CON MISERICORDIA

Per “creare incontro” tra le persone attraverso i media – in particolare quando si deve “condannare con fermezza il male” oppure “esprimersi nei riguardi di chi pensa o agisce diversamente, e anche di chi può avere sbagliato” – occorre adottare uno stile comunicativo ispirato alla misericordia, cercando di “non spezzare mai la relazione”, con “audacia creativa che offre vere soluzioni”. La pratica di “affermare la verità con amore”, espressa nel messaggio del 2016 su “Comunicazione e misericordia” è l’aspetto più riconoscibile dello stile di Francesco, ispirato alla convinzione che la comunicazione sia “una conquista più umana che tecnologica”.

LA PAROLA FRANCA E L’ASCOLTO

Nello stesso messaggio, Francesco sottolinea che non si può adottare uno stile di comunicazione misericordioso se alla base non c’è la “parresìa”, il “coraggio di parlare con franchezza e libertà” e di “risvegliare le domande insopprimibili sul senso dell’esistenza”, come disse al pontificio Consiglio dei laici nel 2013. Ma questo non basta. L’atto di comunicare “è fecondo nella misura in cui genera una prossimità che si prende cura, conforta, guarisce, accompagna” le persone. Mettersi in ascolto “è fondamentale. Ascoltare significa anche essere capaci di condividere domande e dubbi, di percorrere un cammino fianco a fianco, prestare attenzione, avere desiderio di comprendere, di dare valore, rispettare, custodire la parola altrui. Nell’ascolto si consuma una sorta di martirio, un sacrificio di sé stessi”.

LA COMUNICAZIONE IN FAMIGLIA

Nel messaggio del 2015, Francesco indica la famiglia come “il primo luogo dove impariamo a comunicare”, dove impariamo a “dare perché abbiamo ricevuto”, in un circolo virtuoso che “è il paradigma di ogni comunicazione”. In famiglia si esercita anche il perdono che “nasce dal riconoscimento dell’imperfezione” e si sviluppa in una “dinamica di comunicazione che si logora, si spezza e, attraverso il pentimento espresso e accolto, si può riannodare e far crescere”. Sempre in famiglia si impara ad accettare la disabilità, che può provocare chiusura oppure, se ricompresa nell’accettazione del limite, diventare “uno stimolo ad aprirsi, a condividere, a comunicare in modo inclusivo” e può aiutare le realtà sociali “a diventare più accoglienti verso tutti”.

REIMPARARE A RACCONTARE

I media digitali favoriscono le relazioni “se aiutano a raccontare e condividere, a restare in contatto con i lontani, a ringraziare e chiedere perdono, a rendere sempre di nuovo possibile l’incontro”. Ma possono ostacolare la comunicazione “se diventano un modo di sottrarsi all’ascolto, di isolarsi dalla compresenza fisica, con la saturazione di ogni momento di silenzio, senza il quale “non esistono parole dense di contenuto”. Dobbiamo “orientare il nostro rapporto con le tecnologie, invece che farci guidare da esse”. Non semplicemente “produrre e consumare informazione”, bensì “reimparare a raccontare”.

LA PROSSIMITÀ E L’INCONTRO

Per Francesco, la comunicazione è “farsi prossimi”. Come il buon samaritano soccorre l’uomo percosso dai briganti, abbandonato in strada e ignorato da tutti, così il buon comunicatore sa riconoscere nei media la violenza della “manipolazione delle persone” e il condizionamento che porta a “farci ignorare il nostro prossimo reale”. Ancora nel messaggio del 2014, Bergoglio afferma che “Internet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è una cosa buona, è un dono di Dio”, ma “non basta essere connessi”: occorre “recuperare un certo senso di lentezza”, la “capacità di fare silenzio per ascoltare” e “capire chi è diverso da noi” e occorre che “la connessione sia accompagnata dall’incontro vero”, poiché “il coinvolgimento è la radice dell’affidabilità di un comunicatore”.

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