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I think tank e la comunicazione delle aziende

Quale ruolo per i think tank, le “fabbriche di idee” che aspirano a fornire un contributo autorevole ed efficace al processo di elaborazione delle politiche pubbliche? E che relazione stabilire tra le fondazioni politiche e le aziende, per andare oltre la mera sponsorizzazione e la consueta attività di convegnistica? Questi gli interrogativi al centro del seminario a porte chiuse ospitato il 20 aprile nella sede di Comin & Partners, studio di alta consulenza nella comunicazione strategica.

Nella sala di palazzo Colonna si sono ritrovati i rappresentanti delle maggiori aziende italiane, di importanti istituti bancari e assicurativi, di prestigiose fondazioni politiche italiane ed estere. Ospite d’eccezione, James McGann, guru americano dei think tank, senior fellow del Foreign Policy Research Institute di Philadelphia e consulente per governi e istituzioni internazionali.

Ad introdurre il tema e lo scenario italiano è stato Mattia Diletti, ricercatore dell’Università La Sapienza e autore del libro “I think tank”, pubblicato per Il Mulino. A Diletti il compito di raccontare come il termine “think tank” si sia gradualmente inserito nel lessico politico-mediatico italiano, sull’onda del ruolo ricoperto dai pensatoi neo-conservatori durante la presidenza di George W. Bush. Un termine passe-partout usato spesso in Italia con troppa leggerezza, ha osservato Diletti, ricordando come esso indichi una galassia di attori con caratteristiche diverse, dalle fondazioni legate al carisma e all’influenza di un singolo leader politico ai centri studi fortemente concentrati sulle policy, dai player nati nell’ultimo decennio ai pensatoi che custodiscono l’eredità politica dei grandi leader della Prima Repubblica.

Il dibattito si è poi focalizzato sul ruolo dei think tank nelle relazioni istituzionali aziendali, tema introdotto da un intervento di Gianluca Giansante, socio di Comin & Partners ed esperto di comunicazione istituzionale e politica. Al centro dell’intervento i punti di forza e di debolezza che caratterizzano l’azione dei think tank, negli Stati Uniti e in Europa. All’effettiva capacità di avere un impatto sui processi decisionali convincendo con dati e analisi i principali player istituzionali, si accompagna un crescente deficit di credibilità e autorevolezza, che rischia di comprometterne l’abilità di orientare il dibattito pubblico. La visibilità mediatica dei rappresentanti dei think tank viene infatti ridimensionata se i pensatoi vengono etichettati come puri strumenti dei gruppi di rappresentanza degli interessi, con il rischio di veder compromessa la loro aurea di terzietà e credibilità scientifica.

È sulla risposta più efficace a queste sfide che si è concentrato l’intervento di James McGann. L’accademico statunitense ha invitato a osservare con occhio critico l’attuale campagna elettorale per la Casa Bianca, in cui il ruolo degli opposti populismi di Sanders e Trump dimostra come il contesto politico sia sottoposto a poderose pressioni esogene ed endogene, che ne determinano una trasformazione radicale. Evoluzione a cui i think tank devono imparare a reagire, per fare in modo che idee da loro elaborate non muoiano nell’arco di un convegno o vengano sepolte in qualche anonimo report.

Al netto delle indubbie differenze tra il contesto americano e quello europeo, inquadrate in modo rigoroso da McGann, i mutamenti paralleli di tecnologia e politica sono la vera sfida cui occorre fare fronte al più presto. Le modalità stessa di elaborazione delle policy non è più quella del passato: l’avvento della globalizzazione ha abbattuto i confini dei ristretti circuiti decisionali nazionali e sostituito la gradualità di un tempo con un’immediatezza che è ricalcata sui ritmi incontrollati dell’informazione. Le nuove tecnologie sono uno degli strumenti che hanno permesso l’emersione e il rafforzamento di quelli che McGann definisce i “populismi moderni” e la cui marea montante va affrontata con strumenti adeguati e altrettanto “disruptive”.

La strada indicata da McGann è in salita ma praticabile, intervenendo in modo proattivo su una serie di punti. Proprio a partire dal rapporto con le aziende e con gli operatori economici, che da meri sponsor devono ritagliarsi un ruolo di partner. Non basta destinare una certa somma a un parterre accreditato di pensatoi, ma occorre ragionare insieme sui contenuti. Il treno dell’innovazione non può essere perso, ha aggiunto McGann: infografiche, Big Data e contenuti video si avviano a diventare strumenti formidabili di diffusione della conoscenza.

Comunicare bene diventa più semplice quando si può contare sulle risorse giuste: gli animatori dei think-tank del futuro non arriveranno solo dal mondo accademico, ma possiederanno verosimilmente abilità comunicative, competenze di marketing, doti manageriali, spiccata inclinazione al fundraising. Qualità elaborate magari durante una precedente esperienza in azienda. Infine, l’ineludibile attenzione per la garanzia dell’indipendenza e della trasparenza, che diventano le qualità imprescindibili in un contesto dominato dalla diffidenza (se non dalla rabbia) verso le élite politico-economiche.

Orientamento ai risultati in una partnership strutturata con le aziende e abilità comunicativa tramite l’uso intelligente delle nuove tecnologie. Questi i punti-chiave per permettere alle moderne fabbriche delle idee di avere un impatto autorevole ed efficace sulle dinamiche della contemporaneità.

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