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Perché il Def implica una (piccola) manovra correttiva

L’8 aprile è stato approvato il Documento di economia e finanza 2016 (DEF), il principale documento di programmazione economica. All’interno del Semestre europeo è il momento in cui il governo definisce obiettivi, priorità e programmi per il triennio 2017-2019, confermando o rivedendo gli impegni presi l’anno precedente. Impegni su cui saranno chiamati a esprimersi le istituzioni europee e che verranno tradotti in misure concrete dalla legge di stabilità il prossimo autunno.

A definire gli spazi entro i quali le politiche possono muoversi ci sono lo scenario macroeconomico, da un lato, e i vincoli del Fiscal Compact, dall’altro. Si tratta necessariamente di un movimento cauto. Sebbene migliori rispetto a un anno fa, infatti, le condizioni sono ancora “strette”. La ripresa è avviata ma ancora debole ed esposta ai rischi di stagnazione e deflazione. In aggiunta, sulle prospettive pesa uno scenario internazionale più incerto. Il disavanzo pubblico è sceso ma il percorso di consolidamento non è concluso e, non ultimo, non si è ancora avviata la riduzione del debito, che resta il vincolo principale della finanza pubblica italiana.

Di questo il governo prende atto e rivede al ribasso le previsioni di crescita macroeconomica e degli indicatori di finanza pubblica sui tre anni (Fig. 1), delineando un quadro tendenziale sostanzialmente condivisibile, anche se leggermente ottimista.

In questo contesto, perseguire una “politica di bilancio attenta alla crescita e alla sostenibilità delle finanze pubbliche” – l’intento del governo – poggia sulla non facile sintesi tra l’obiettivo di sostenere la domanda e proseguire la riduzione del disavanzo, senza incorrere nelle sanzioni europee.

Il DEF sceglie di trovare questa sintesi in un aumento del disavanzo programmatico rispetto ai programmi del DEF 2015: dopo il 2.3% stimato per il 2016, il rapporto tra disavanzo e PIL scenderebbe nel 2017 solo all’1.8% invece che all’1.1% programmato in precedenza, e allo 0.9% nel 2018, invece che allo 0.2% (Fig. 2).

Fig. 1: Revisione del quadro tendenziale

Fonte: elaborazioni su dati DEF 2016

Fig. 2: Indebitamento netto (% del Pil)

Fonte: elaborazioni su dati DEF 2016

In altre parole, per il 2017 ci aspetta una manovra meno dura rispetto a quanto previsto dalla legislazione vigente, ma pur sempre restrittiva (Fig. 3). La definizione delle misure concrete che attueranno questo allentamento non è compito del DEF, che stabilisce solo le linee guida e quale dovrà essere l’effetto netto complessivo delle misure inserite nella legge di stabilità. L’aumento dell’IVA, la nota clausola di salvaguardia, sarà annullata e il mancato gettito (circa 15 miliardi di euro, lo 0.9% del PIL) sostituito, ma solo in parte, da una nuova manovra che comprende “interventi di revisione della spesa pubblica, ivi incluse le spese fiscali, e di strumenti che accrescano la fedeltà fiscale e riducano i margini di evasione ed elusione”. Tradotto: riduzione di spesa, tagli alle agevolazioni fiscali (le tax expenditures) e lotta all’evasione per circa 8.5 miliardi di euro. La manovra è più piccola rispetto a quella della clausola e si concentra su interventi che avrebbero basso impatto sulla domanda aggregata, minimizzandone gli effetti recessivi e consentendo di guadagnare, nelle stime del DEF, circa 0.2 p.p. di maggiore crescita del PIL reale rispetto al quadro tendenziale.

A fronte di un guadagno, però, si comprometterebbe il rispetto delle regole del Fiscal Compact: il disavanzo strutturale scenderebbe di 0,1 p.p. di PIL, non dello 0,5 richiesto. Una strada obbligata, secondo il governo: il rispetto puntuale dei vincoli sarebbe “inopportuno e controproducente” poiché, in ultima analisi, implicherebbe una restrizione fiscale con ripercussioni negative sul quadro macroeconomico e gli stessi saldi di bilancio.

E’ una valutazione condivisibile, tanto più in un contesto in cui le politiche nell’area euro sono insufficienti nel contrastare la carenza di domanda e in cui la valutazione del prodotto potenziale e dell’output gap adottata dalla Commissione europea per calcolare il disavanzo strutturale è definita come “irrealistica e penalizzante” per il nostro Paese.

Fig. 3: Manovra di bilancio, effetti rispetto all’anno precedente, in % del PIL

Fonte: elaborazioni Prometeia



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