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Facile e infelice profezia sul futuro di Roma

Il metodo dell’analisi predittiva, insieme con i sondaggi e lo studio dei trend, indicano che Virginia Raggi e Roberto Giachetti andranno al ballottaggio che si terrà il 19 giugno. Come successo a Parma, mentre il centrosinistra plafonerà inesorabilmente intorno al 40 %, Raggi al secondo turno vincerà sommando ai suoi voti quelli dei delusi del centrodestra.
La Giunta Raggi risulterà sin da subito impreparata e i nomi degli assessori, illustri sconosciuti, scontenteranno l’opinione pubblica. Il maxi debito del Comune di Roma consegnerà a Raggi una città quasi impossibile da gestire, e la sua scarsa pratica si farà notare. L’esposizione per oltre 20 miliardi di euro, senza forti misure di rientro, farà scattare un allarme generale: dalla Tesoreria del Campidoglio in settembre arriverà la notizia che autobus, scuolabus e polizia municipale non avranno più la benzina per andare in strada.

Lo sciopero dei dipendenti pubblici comunali e di quelli delle municipalizzate porterà in piazza migliaia di manifestanti e nascerà un movimento per l’occupazione del Campidoglio, nato dopo le prime nottate in sacco a pelo nell’Aula Giulio Cesare. Roma sarà paralizzata.

Il Pd guiderà l’opposizione consiliare, ma sarà incapace di contenere l’ondata di scontento diffuso in città verso l’improvvisazione del nuovo sindaco a Cinque Stelle. Nel discorso di Capodanno, il Presidente Mattarella dedicherà un passaggio all’imbarazzo della Capitale in balìa di se stessa: “Roma ritrovi la sua vocazione, ne va dell’interesse nazionale”.

Dopo sei mesi dall’insediamento, i primi consiglieri comunali pentiti inizieranno a trattare con l’opposizione. Si costituirà un gruppo di dissidenti che rivendicherà la propria autonomia in Aula. Alla spicciolata, dopo una prima e una seconda ondata di espulsioni decise da “Rousseau”, Raggi sarà costretta a presentarsi dimissionaria. “Avevamo ragione sin dall’inizio, quando avevamo intuito di essere vittime di un complotto per farci vincere”, dichiara.

Seguiranno otto mesi di commissariamento prefettizio. Al termine, un election day per convergere in un unica data il voto amministrativo di Roma e quello nazionale.

In effetti, se non un complotto, una dinamica si era innescata. Matteo Renzi aveva capito che per scongiurare l’arma letale dei Cinque Stelle alle elezioni politiche, si doveva creare il casus belli. Si dovevano cacciare i pentastellati in un cul de sac, una trappola che li costringesse ad assumere una responsabilità pubblica, importante, priva di agibilità e diretta ad una eclatante bébacle. L’epic fail della Raggi segnerà il punto minimo del M5S alle elezioni politiche e permetterà al Partito Democratico di tornare a vincere le legislative, affermandosi per la prima volta con la nuova legge elettorale.

Ai lettori che avessero a cuore le sorti del Movimento Cinque Stelle, una sola strada: non cedere al complotto e non cacciare Virginia Raggi nella trappola che le hanno teso. Votare per altri, in queste elezioni romane. Oppure no. Ma poi non venitemi a dire che non ve l’avevo detto.

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