Pubblichiamo un commento del blog curato da Giampiero Gramaglia sul Fatto Quotidiano
In questi ultimi giorni, capita spesso di sentire che, se non ce la teniamo noi al governo, quella perla rara del professor Monti, l’Europa ce la porta via. E i posti in realtà non mancano: entro due anni, sono quattro le poltrone che contano da assegnare. Ma siamo proprio sicuri che l’Unione ce lo insidi il nostro premier ex tecnico?
Vediamo, caso per caso. Cercasi di questi tempi, presidente dell’Eurogruppo, club dei responsabili delle finanze dei Paesi dell’euro, presieduto, da quando è nato, dal premier e ministro delle finanze lussemburghese Jean-Claude Juncker. Nella conferenza stampa di domenica 23, la giornalista dell’Afp Françoise Kadri ha fatto a Monti una domanda diretta in tal senso. La risposta è stata chiara, ma elusiva: alle prese con tante ipotesi che gli vengono proposte, il premier manco vuole prendere in considerazione quelle che non gli sono state ancora proposte.
E, per quanto nessuno neghi la sua competenza per quell’incarico, è molto difficile che il paese che ha già la presidenza della Banca centrale europea con Mario Draghi assuma pure quella dell’Eurogruppo, instaurando una sorta di diarchia sulla politica monetaria europea. Senza contare che, sull’Eurogruppo, c’è una prelazione francese per il ministro dell’Economia Pierre Moscovici.
Juncker, poi, è un Ppe e la legge dell’alternanza non scritta ma spesso applicata in Europa potrebbe indurre a optare per un non Ppe, magari, un socialista, come Moscovici appunto. Infine, il timing non è dei più felici per Monti: la scelta del successore di Juncker dovrebbe essere fatta a gennaio, troppo presto per il Professore che non è candidato, ma è in lizza, per guidare l’Italia dopo il voto di febbraio.
Allora, l’Eurogruppo Monti non ce lo porta via. Ma nel 2014 ci saranno da sciogliere tutti i nodi dei vertici delle istituzioni europee più importanti: la presidenza della Commissione europea – il portoghese José Manuel Durao Barroso, Ppe pure lui, terminerà il suo secondo mandato e non è più rieleggibile -; la presidenza del Consiglio europeo – il belga Herman Van Rompuy, ancora un Ppe, concluderà anch’egli il secondo mandato -; e la presidenza del Parlamento europeo, che, in primavera, verrà rinnovato con le VIII elezioni a suffragio universale.
Andiamo in ordine. La presidenza del Parlamento europeo eletto a suffragio universale non è mai toccata, dal 1979, a un italiano. Oggettivamente, i tempi sono maturi, anzi marci. Ma Monti, per potervi ambire, dovrebbe prima farsi eleggere eurodeputato. E lo vedete voi il senatore a vita, che non si candida in Italia, candidarsi in Europa? Io non ci scommetterei un euro. Anche se lì lo favorirebbe, oltre che l’alternanza di paese, anche quella politica: l’attuale presidente è un socialista, il tedesco Martin Schulz, e dovrebbe toccare a un “moderato”.
Poi, la presidenza della Commissione: i capi di Stato e di governo devono fare la loro scelta, il Parlamento europeo deve votare l’investitura. Monti dopo Barroso? L’ipotesi potrebbe acquisire concretezza, ma ci sono due ostacoli: uno è Barroso, un Ppe lì da 10 anni (i socialisti punteranno all’alternanza e i tedeschi, che non hanno quel posto dagli Anni Cinquanta, potrebbero avere in Schulz l’uomo giusto per la doppia alternanza, politica e nazionale); l’altro è ancora Draghi – due italiani ai vertici di due delle quattro maggiori istituzioni dell’integrazione è improbabile, al di là del valore delle persone.
Resta la presidenza del Consiglio europeo, l’ultima a essere decisa in ordine temporale, appannaggio unico dei capi di Stato e di governo dell’Ue: Monti dopo Van Rompuy? Possibile, con le qualità e il curriculum del professore, ma l’ostacolo Draghi persisterà.
Insomma, che Monti ce lo porti via l’Europa è uno spauracchio relativo. Possiamo fare le nostre scelte senza esserne assillati.