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Banco Popolare, Telecom Italia, Bper. Chi è all’avanguardia sulle assemblee virtuali

Giuseppe Recchi

Qualche settimana prima dell’inizio della stagione assembleare, il Financial Times pubblicava un articolo “US companies embrace virtual annual meetings”, nel quale si metteva in evidenza l’importanza della tecnologia nel consentire una agevole partecipazione degli azionisti alla vita societaria. Prima di entrare nel merito è necessario effettuare una distinzione tra:

• Assemblea degli azionisti virtuale: quando la riunione a distanza sostituisce completamente l’assemblea degli azionisti come luogo fisico.
• Assemblea ibrida: ovvero un sistema che non sostituisce la tradizionale assemblea degli azionisti, ma consente la partecipazione on line da parte di alcuni azionisti.
• Assemblea a distanza: ovvero un sistema che non sostituisce la tradizionale assemblea degli azionisti, ma consente la partecipazione degli azionisti i luoghi diversi da quella dell’assemblea potendo esprimere il voto e fare interventi, questo più vicino al panorama domestico italiano.

Negli Stati Uniti, lo stato del Delaware, per primo nel 2000, ed a seguire altri 22 stati, tra cui Minnesota, Ohio, Pennsylvania e Texas hanno già consentito l’opportunità per le società di optare per il meeting virtuale. Inoltre, nel 2012 sono state redatte delle linea guida per proteggere e rafforzare la partecipazione degli azionisti alle assemblee, una sorta di best practice alla cui redazione hanno partecipato alcuni investitori istituzionali: California State Teachers Retirement System, State of Wisconsin Investment Board, Northern Trust e Capital Research and Managment Company.

Fatta tale premessa, in linea con l’articolo del FT i dati delle società americane, elaborati da Broadridge, dimostrano un incremento nell’utilizzo di tali meccanismi considerati alla stregua di sistemi idonei a promuovere una crescita dei diritti degli azionisti, incentivando la partecipazione di questi ultimi alla vita societaria.
Nel 2009 negli Stati Uniti le assemblee virtuali o ibride erano solo 4, nel 2014 se ne sono registrate ben 93, 134 nel 2015 e addirittura 200 nel 2016, un segnale molto chiaro di avvicinamento delle società verso questi strumenti partecipativi degli azionisti.

In realtà esistono diverse posizioni, ad esempio Calpers, uno dei più grandi fondi pensione statunitensi, nelle proprie politiche di voto, esprime la contrarietà all’assemblea virtuale, aprendo la strada a sistemi ibridi: “Companies should hold shareowner meetings by remote communication (so-called “virtual” meetings) only as a supplement to traditional in-person shareowner meetings, not as a substitute. Companies incorporating virtual technology into their shareowner meeting should use it as a tool for broadening, not limiting, shareowner meeting participation”. Anche il Council of Institutional Investors, associazione che racchiude oltre 120 membri che rappresentano quasi 3 trillion di dollari in gestione giunge ad analoghe conclusioni: “Companies should hold shareowner meetings by remote communication (so-called “virtual”meetings) only as a supplement to traditional in-person shareowner meetings, not as a substitute”.

Nel nostro paese l’assemblea virtuale resta una chimera dietro la quale si annidano molti dubbi sia di natura legale sia in merito alla difficoltà da parte del management di gestire gli esiti di voto che si svolgerebbe “in diretta”. Alla medesima conclusione si può giungere analizzando i sistemi ibridi, dei quali non vi è traccia nelle assemblee delle società Italiane.

In altri termini, non esiste alcuna possibilità per gli azionisti di società Italiane di interagire attraverso sistemi di tecnologia a distanza nello svolgimento dell’assemblee Italiane.

In aggiunta potremmo addirittura sostenere che sia fallito l’obiettivo del legislatore Italiano di incentivare la partecipazione mediante il voto a distanza per via elettronica, difatti soltanto 15 società del FTSE MIB (43%), tra cui Eni, Telecom, Generali e Unicredit, hanno previsto nei propri statuti la possibilità per coloro ai quali spetta il diritto di voto, di intervenire in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione ed esercitare il voto in via elettronica. Nella pratica poi tale incentivo si riduce consistentemente dato che delle 15 società suddette, soltanto 3 società BPER, Telecom e Banco Popolare hanno consentito un qualche forma di partecipazione a distanza.

Telecom, che sul tema è senza dubbio la società più avanzata dell’indice FTSE MIB, prevede ad esempio la possibilità di esercitare il voto anche in via elettronica tramite apposita area riservata accessibile dal sito internet fino a 3 giorni prima dell’assemblea, con una modalità che pertanto non si differenzia dal tradizionale voto per corrispondenza, non consentendo alcuna forma di interazione o voto nel corso dell’assemblea stessa.

Con riferimento alle restanti due società: in BPER e Banco Popolare il voto mediante strumenti elettronici consiste nella mera possibilità di votare sui punti all’ordine del giorno da appositi centri di voto, distanti fisicamente dal luogo in cui si tiene l’assemblea.

Spostando infine la nostra attenzione anche al segmento di azionariato retail, negli ultimi anni nonostante lo sforzo delle società emittenti italiane nella realizzazione di un piano strutturato nella gestione delle relazioni verso gli investitori individuali al fine di favorire una maggiore partecipazione di quest’ultimi agli eventi assembleari, i risultati non sono stati incoraggianti. La stessa figura del Rappresentante Designato, disciplinato dall’art. 135-undecies del TUF e introdotto dal legislatore con lo scopo di incentivare la partecipazione assembleare, non ha prodotto i risultati sperati: una ricerca Sodali effettuata su un campione di circa 20 società del FTSE MIB per gli anni 2014-2015, avente ad oggetto il numero di azionisti retail che hanno partecipato alle assemblee societarie conferendo delega al Rappresentante Designato, evidenzia come soltanto in 4 società siano state conferite deleghe e che rappresentino in media meno dell’1% del totale degli azionisti individuali presenti.

Infine, la nostra analisi finale dimostra un basso range di partecipazione del retail tra il 3 ed il 5% su cui influiscono molteplici aspetti (carenza di informazioni, costi e esigenze di semplificazione), che attraverso un potenziamento del meccanismo del rappresentante designato e della partecipazione assembleare attraverso forme diverse da quella tradizionale, potrebbero indubbiamente far crescere il livello di partecipazione.

L’incentivare la partecipazione degli azionisti Retail deve ritenersi sicuramente un passo positivo che tuttavia dovrebbe vedere affiancata una ridefinizione delle logiche relazionali con tale componente sempre vista come dormiente. Mentre oggi nelle assemblee delle società più grandi si assiste a una divisione della partecipazione tra azionisti di controllo e fondi internazionali, domani potremmo vedere l’ingresso di una terza componente che accrescerebbe la rappresentatività di tutto l’azionariato rendendo l’evento assembleare una vera assise “democratica”.



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