Per Silvio Berlusconi, la fine del suo governo nel novembre 2011 è stata figlia di un complotto, tanto che vorrebbe una commissione parlamentare di inchiesta per chiarirne i contorni.
In verità, la caduta del suo governo è riconducibile a circostanze a dir poco solari.
A maggio 2011, la revisione al ribasso delle stime di crescita mise definitivamente a nudo, anche per chi si ostinava ancora a negarla, l’insostenibilità già di breve periodo dei conti pubblici.
La prima enorme colpa del governo Berlusconi è stata quella di arrivare a quel frangente, che molti preconizzavano come inevitabile già dal 2009, senza aver operato riforme strutturali dello Stato e della spesa, nonostante fosse in carica già dal 2008.
Pure a crisi dei conti ormai esplosa, tuttavia, il governo Berlusconi dette una pessima prova di sè, a tutto danno del Paese.
Prima di essere “commissariato”, come Berlusconi ama dire, il suo governo ebbe il tempo di varare non una, ma ben due manovre che, se ben calibrate, avrebbero potuto puntellare i conti e convincere tanto gli osservatori interni quanto quelli internazionali.
In quelle manovre, il riequilibrio dei conti pubblici fu perseguito attraverso un massiccio ricorso all’aumento della pressione fiscale e, solo in modo residuale, attraverso tagli di spesa.
Tanto è vero che, se si guarda il dato complessivo di quelle due manovre e del successivo “Decreto Salva Italia”, si vede come il 76% del feroce aumento di pressione fiscale determinato sul 2012 è riconducibile alle maggiori entrate messe a preventivo dal governo Berlusconi e solo il restante 24% a quelle ulteriormente messe a preventivo dal governo Monti.
Il motivo per cui le due manovre Berlusconi non convinsero nessuno, pur essendo lacrime e sangue nei saldi complessivi non meno del successivo “Decreto Salva Italia”, è perché quei saldi venivano fondati su presupposti assurdi e per certi versi ridicoli: 20 miliardi dovevano arrivare dal nebuloso taglio lineare delle agevolazioni fiscali e una significativa fetta della parte restante dalla lotta all’evasione fiscale (con ciò per altro tradendo il principio che le entrate derivanti dalla lotta all’evasione sarebbero dovute andare ai cittadini invece che allo Stato).
Se il governo Berlusconi avesse riempito quei saldi “di cartapesta” ad esempio anticipando l’IMU e aumentando l’IVA, la reazione positiva dei mercati, in termini di credibilità dei sacrifici chiesti, sarebbe stata la stessa che si è avuta quando queste scelte sono state scaricate sul governo tecnico.
Nessuno, allora, lo avrebbe “commissariato”.