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Selvaggi contro urbanizzati, gli ecologisti Usa si dividono

Secondo Keith Kloor di Slate.com, la “bomba ad orologieria” del famigerato saggio di Ted Nordhaus e Michael Shellenberger (intitolato semplicemente “La morte dell’ambientalismo”, del 2005) è finalmente scoppiata. Sospese le lotte intestine durante la presidenza Bush, quando vi era una generale percezione di stato d’assedio da parte del movimento verde, esse riemergono oggi, nella forma di un eco-pragmatismo o modernismo ecologista.

Se ne fanno interpreti autori come Emma Marris (autrice di “Rambunctious garden: saving nature in a post-wild world” ovvero “Il giardino rumoroso: salvare la natura in un mondo post-selvaggio), Mark Lynas (autore di “The God Species”) e Peter Kaireva (di Nature conservancy). Tutti intenzionati, questi verdi modernisti, a sfidare l’ortodossia che vorrebbe la natura intatta e selvaggia come modello della vera natura, e il genere umano come responsabile/colpevole della rottura di quest’armonia. Ma questa rottura, essi sostengono, non è irreparabile e distruttiva, bensì creatrice di un nuovo ordine, una nuova armonia e (perché no?)un nuovo equilibrio.
Kloor parla di un “cambiamento di paradigma culturale”.

L’attività dell’uomo viene riconosciuta come parte integrante della natura, non come qualcosa di estraneo e aggiunto. Si tratta di una visione meno pessimistica e fatalistica dell’Antropocene rispetto a quella proiettata dai conservazionisti tradizionali, con spunti interessanti come quelli proposti da Mark Lynas: “La natura non governa più il pianeta. Siamo noi a farlo. E spetta a noi decidere cosa far accadere”.
La posizione di Kloor è abbastanza aperta a questa novità, ritenendo l’ecologismo classico inadatto a cogliere l’importanza del fattore tecnologico nel XXI secolo. Certamente ha il merito di far partire un dibattito che avrà anche risvolti ideologici: da una parte la messa in scacco di posizioni anticonsumistiche diffuse in Occidente (pro-decrescita, pro-denatalità, ecc.) ma ancora prive di consistenza politica, dall’altra una più precisa ricognizione dei limiti del sistema tecnologico e scientifico nell’interazione con il mondo naturale.

L’articolo di Keith Kloor

Il “manifesto” di Emma Marris 

 



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