“La spada della giustizia non ha fodero”. Cito Joseph de Maistre perché rappresenta veramente molto bene, in questo particolare momento, il mio sentimento inquieto, intorno ai temi della giustizia e perché la morte orrenda di un’altra ragazza massacrata da odio – e non di amore malato – come scrivono i giornali non può essere solo un sentimento di devastazione inflitto a tutte le donne, nascosto dal giubileo della vetrina dell’anniversario del voto femminile del prossimo 2 giugno Festa della Repubblica.
La giustizia? Non molto tempo fa – un testo divenuto legge ha inasprito i provvedimenti sul femminicidio. Un testo poco conosciuto e soprattutto mal applicato e neanche dovutamente finanziato. Non c’era dubbio allora, come oggi, che il Governo deve affrontare la questione giustizia, ma evitando gli sbagli commessi nel passato, quando si sono separati i provvedimenti di clemenza da una riforma complessiva della giustizia, poiché solo una riforma vera può ridurre in modo strutturale il problema di un sistema malato. Malato e schizofrenico poiché tra i reati “particolarmente odiosi” vi è appunto il massacro delle donne e invece anche per questo si auspica ora la “riduzione dell’area applicativa della custodia cautelare”.
La legge già prevede che quella custodia sia disposta solo in casi estremi e di alta pericolosità sociale, ma tutti paiono dimenticarsene. Quando si tratta delle violenze subite dalle donne si dimenticano i casi estremi e di alta pericolosità sociale e tutto si esaurisce sulle prime pagine di giornale e in poco tempo torniamo alla gogna. Sulle donne. L’atrocità ormai è diventata un’abitudine: diversi solo i nomi delle donne e le città. Tutto ciò che è freschezza, forza, intelligenza, energia vitale di una persona indomita viene soffocata dalla cattiveria, dalla costrizione, il male la sovrasta fino ad annientarla.
Che questi 70 anni di voto alle donne siano l’occasione per riprendere il coraggio di fare gruppo, squadra, di non celebrare il voto ma farlo diventare uno strumento di cambiamento così come fu 70 anni fa. La storia ci deve rianimare: Anna Garofalo in L’italiana in Italia scritto per Laterza nel ’56: «Lunghissima attesa davanti ai seggi. Sembra di essere tornati alle code per l’acqua, dei generi razionati. Abbiamo tutte nel petto un vuoto da giorni d’esame, ripassiamo mentalmente la lezione: quel simbolo, quel segno, una crocetta accanto a quel nome. Stringiamo le schede come biglietti d’amore…».
Non dimentichiamo il loro sconcerto davanti all’accoglienza per questo passaggio storico da parte di una società maschile legata a vecchi proverbi insulsi sulle virtù della femmina: «Che la piasa, che la tasa, che la staga a casa». I giornali, poi, non valorizzarono questo evento, ma solo alcuni, in mezzo ad un fiume di parole altre, ammisero che altissima era stata la percentuale dell’affluenza delle donne ai seggi. E ancora oggi tanta strada è da fare, ma ci vuole anche tanta determinazione e cervello per consegnare alle nuove generazioni un Paese che faccia uno scatto verso la democrazia femminile nella società, nel lavoro, nella famiglia di cui le donne sono il valore e il motore indispensabile. Italiani dunque che ne abbiano rispetto e gratitudine.