Dal 5 settembre prossimo i vescovi negligenti in tema di protezione dei minori potranno essere rimossi dalla diocesi loro affidata. Ed a cacciarli potranno essere le Congregazioni della Curia Romana, investite di un apposito potere d’indagine. Queste, in sintesi, sono le due innovazioni portate dal motu proprio “Come una madre amorevole”, emanato giorni fa da Papa Francesco ma che entrerà in vigore, come detto, fra 90 giorni.
A CHI SI RIVOLGE
Il testo voluto dal Papa chiarisce che “la Chiesa dedica una cura vigilante alla protezione dei bambini e degli adulti vulnerabili”, quindi i primi ad occuparsene e assumersene la responsabilità sono: “I Vescovi diocesani, gli Eparchi (i ‘vescovi’ delle Eparchie, cioè le ‘diocesi’ che in Italia sono di rito greco-cattolico e ammettono i preti sposati, parliamo di Piana degli Albanesi in Sicilia e Lungro in Calabria) e coloro che hanno la responsabilità di una Chiesa particolare”, che vengono chiamati ad “impiegare una particolare diligenza nel proteggere coloro che sono i più deboli tra le persone loro affidate”.
SI AMPLIANO LE “CAUSE GRAVI”
Già oggi il Codice di Diritto Canonico, voluto da Giovanni Paolo II nel 1983 (quello precedente risaliva al 1917), stabilisce che si può perdere un ufficio ecclesiastico per “cause gravi”. Un esempio? Il canone 696, rifacendosi ai religiosi (i frati), parla di cause “gravi, esterne, imputabili e comprovate giuridicamente” come ad esempio: “l’ostinato appoggio o la propaganda di dottrine condannate dal magistero della Chiesa”. È come se – per fare un esempio banale, ma chiaro – Padre Raniero Cantalamessa, il noto religioso che per anni ha telepredicato il Vangelo agli italiani e oggi è Predicatore della Casa Pontificia, improvvisamente si iscrivesse all’UAAR (Unione Atei, Agnostici Razionalisti) ed entrasse nelle Brigate Rosse. In questo caso potrebbe essere rimosso.
LA NEGLIGENZA E LA DENUNCIA
Naturalmente il motu proprio del Papa allarga adesso le gravi cause. E parla espressamente di “negligenza dei Vescovi nel loro ufficio, in particolare relativamente ai casi di abusi sessuali compiuti su minori ed adulti vulnerabili”. Possiamo fare molti esempi di possibile negligenza: il vescovo che trasferisce di parrocchia in parrocchia il prete pedofilo non dando corso alle denunce dei fedeli; oppure il vescovo che omette di denunciare il sacerdote all’autorità civile (e quindi alla magistratura). Questo punto ci sembra suggerito dal testo del documento, e potrebbe anche chiudere le polemiche sulla decisione – quantomeno discutibile – presa dalla Conferenza Episcopale Italiana di non obbligare i vescovi alla denuncia dei preti pedofili alla magistratura italiana. Era il marzo 2014 e il presidente dei vescovi italiani, cardinale Angelo Bagnasco, si giustificò dicendo che tale norma fosse “a tutela delle vittime” e che un obbligo “morale” fosse più pesante di uno “giuridico”. Posizione quantomeno opinabile.
COME AVVIENE LA CACCIATA DEL VESCOVO
La rimozione del vescovo può avvenire se “per negligenza” abbia “posto od omesso atti che abbiano provocato un danno grave ad altri” che può essere “fisico, morale, spirituale o patrimoniale”. Nel caso di abuso su minori o adulti vulnerabili basta che “la mancanza di diligenza sia grave” (art. 1, §3). In questo caso “la competente congregazione della Curia Romana” (che nei casi di pedofilia è quella per la Dottrina della Fede, l’ex Sant’Uffizio) può agire d’ufficio, iniziando un’indagine e (art. 4) cacciare il vescovo con il decreto di rimozione, o invitarlo a dimettersi entro 15 giorni pena la cacciata d’ufficio. Sempreché (art. 5) il Papa, sentito un collegio di giuristi, approvi la decisione della Congregazione competente.
Il motu proprio di Francesco segue la linea – prima di Giovanni Paolo II, poi di Benedetto XVI – di massima severità nella gestione dei casi di pedofilia del clero; e richiama infatti il motu proprio emanato da Karol Wojtyla e poi emendato da Joseph Ratzinger Sacramentorum Sanctitatis tutela. Un testo che non ha mancato di suscitare apprezzamento negli ambienti ecclesiastici.
MA NON C’E’ SOLO L’ABUSO
Con una precisazione. Il motu proprio parla di danno anche patrimoniale non solo verso il singolo, ma anche verso una comunità. Non è difficile ripensare ai casi di cronaca recente a proposito di presunte malversazioni economiche compiute in alcune diocesi italiane. Come quello di monsignor Francesco Micciché, vescovo emerito di Trapani, rimosso nel 2012 dalla Santa Sede e sotto inchiesta dal 2015 della Procura della Repubblica di Trapani per malversazione (spariti 2 milioni di euro destinati alla diocesi) in relazione ai soldi dell’8 per mille. Dal 5 settembre prossimo, insomma, uno strumento in più in mano alla Santa Sede.