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Al parco, a Torino la società che cambia

È domenica mattina. Sul campetto di basket in asfalto va in scena un triangolare. Tre mucchi di asiatici, probabilmente coreani, studenti di un corso di meccanica del Politecnico, si scontrano a colpi di cesti con le movenze dinoccolate delle star cui vogliono somigliare. Di quelle star hanno indosso le maglie. Quella di Irwing, di Lebron. Un po’ Cavaliers, un po’ Warriors.
Un tempo, neanche vent’anni fa, su quel campetto c’erano i meridionali che giocavano a pallone con due porte inventate, con i pali fatti con gli zaini.
A un certo punto, gli elementi della squadra che non stava giocando, a bordo campo attira l’attenzione dei passeggiatori domenicali. Uno dei cinque a suo agio con le mani non solo con il pallone ma anche con le corde, suona “Tanti auguri a te” con la chitarra. I cinque si mettono a cantare. Ripetono il ritornello tre volte: prima nella loro lingua, poi in inglese, infine in italiano.
Non so chi vincerà a Torino le elezioni comunali, so però che sarà inadeguato. Corre troppo veloce la società. È un mostro fatto d’incroci, con l’agilità della gioventù che va affrontato con la saggezza degli sciamani.


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