Da qualche settimana seguo Zuppa di Porro, su Facebook, la rassegna stampa video del giornalista Nicola Porro. La formula mi sembrava intrigante: rapidità di esecuzione, libertà di espressione, e riscatto per un giornalista che ha visto la sua comfort zone, l’ottimo programma Virus che egli conduceva, cancellata dalla Rai. Ma le cose non sono andate così. Ho vissuto i primi sette giorni di delusione, e i sette seguenti di crescente irritazione, per i toni da arrotino ombrellaio e per la dabbenaggine malmascherata da sdegno con cui i titoli scelti vengono ogni mattina commentati.
Ieri Porro ha fatto un passo in più, forse si è svegliato tardi, forse non ha capito perché era già carico come una molla. Insomma, ha cannato la notizia. E vi è rimasto attaccato lo stesso. Per la qual cosa adesso mi permetto, più che di dissentire, di denunciare la di lui dissenteria verbale. Porro ha mortificato i suoi potenzialmente bellissimi otto minuti di rubrica per sciogliere i cani di un’intemerata sul sindaco di Londra, musulmano, il quale, si legge sul Corriere, ha messo al bando le pubblicità che egli considera “malsane” lungo i 400 chilometri della metropolitana londinese. Dice il sindaco, il laburista Sadiq Kahn: “In quanto padre di due ragazze adolescenti, sono estremamente preoccupato da questo tipo di pubblicità che può avvilire le persone, in particolare le giovani, e farle vergognare di propri corpi”.
L’ex conduttore di Virus ha trovato un suo personale motivo di polemica accentrando l’attenzione sulla musulmanità del primo cittadino, che ha ritenuto fosse la causa scatenante della presa di posizione istituzionale. Ma la sua catilinaria è uscita sgangherata, oltre che poco onesta. Ha esordito dicendo “C’è una modella che ha fatto un cartellone pubblicitario”; e infine si è chiesto, in nome della sua cultura liberale “chi è che decide che cosa è malsano?” Abutere patientia nostra…
Ovviamente la modella non ha “fatto” nessun cartellone, e decidere se una cosa che occupa spazio pubblico è malsana è precisamente compito ingrato di chi lo amministra. Ma soprattutto Porro ha dimenticato di dire due cose, o non si è accorto. Primo, che quella pubblicità è la réclame di un prodotto dietetico, e quindi con un intento e un potenziale impatto mica tanto neutri; secondo, che è dell’anno scorso. La foto colorata e una lettura dell’articolo fatta coi capelli ancora sulla faccia devono averlo fregato.
Il cartellone raffigurava una modella, Renee Somerfield, in bikini giallo, circondata dalla scritta “Are you – beach body ready?”, e al tempo era stato oggetto in patria di lunghe e affilate polemiche a causa dell’influsso che avrebbe potuto avere sull’idea di “esteticamente corretto” delle giovani inglesi. Il Guardian ne scrisse il 27 giugno 2015, e la corrispondente da New York inviò anche un servizio in cui chiedeva ai passanti di Times Square, dove si trovava un’identica affissione, che impressione ne traessero. Poi, a seguire, il Telegraph, la Bbc, il Daily Mail, l’Indipendent, l’Huffington Post. Ne emersero una questione di salute, la mannaia dell’anoressia, e una di cultura, l’essere proni davanti alla mano commerciale che la abbatte sulle donne – e anche sugli uomini – con l’infausta potenza della persuasione (Vance Packard ne ha scritto una sessantina di anni fa). Questioni del tutto occidentali, perché allora Khan al municipio di Londra non c’era. Niente: “Che cosa sono 400 proteste formali in una città come Londra?”, ha chiosato invece Porro, incurante (o ignorante) del can can che invece la faccenda, come abbiano visto, aveva scatenato.
Eppure sul Corriere di ieri mattina le notizie c’erano tutte, così come la dichiarazione piuttosto laica di Kahn, “nessuno deve sentirsi influenzato, quando viaggia sulla Tube, o in bus, da aspettative irrealistiche riguardanti il corpo”; stava scritto altresì che le richieste di affissioni verranno valutate da un comitato, in seno alla Transport For London, composto da pubblicitari e da membri della società civile “che riflettano le diversità di Londra”. Porro ha dimenticato di elargire un cenno anche a questa evidenza.
Abbiamo l’impressione che Porro sia stato divorato dello schermo che lui stesso ha creato, lui che domava con destrezza quello che lo stipendiava: è questo il virus che colpisce i giornalisti. È un virus che ha la tua faccia e, mentre ti mangia, ti sussurra che rimarrai pur sempre tu. La malattia si manifesta quando ti prende un’idea fissa, di solito quella che fa più lettori in quel momento, e con l’abilità e nel tempo di una rovesciata alla Parola – nomen omen – ne fai una crociata. Quando cambia la settimana, cambi la crociata. Ieri, Kahn uguale musulmano uguale nemico della libertà uguale nemico delle donne, nemicissimo delle modelle. Avrà ragione lui (Porro intendo, non Kahn? Dipende se lo scopo era di dire qualche cosa o di arringare ed eccitare i suoi 90mila e rotti lettori (andate a leggere i commenti in calce al suo post-rassegna, la missione è compiuta). La libertà è una cosa troppo raffinata per un uomo che urla in una telecamera.
Neppure essere una firma blasonata è un vaccino. Massimo Gramellini, sullo stesso tema, scrive sulla Stampa: “Il problema non sono i cartelloni. È la mancanza di autostima di chi, guardandoli, li paragona a se stesso e ne soffre”. Cioè: che si curino, e ci lascino guardare in pace le belle tope. È vero che non è la caccia alle streghe la soluzione a questi problemi, ma lo è girare le spalle, che la gggente d’estate vuole leggerezza, e così tirare anche la volata a chi vi fa leva per soldi? Gramellini, consapevole che le sue 22 righe finiscono in fretta, per la sua gggente sceglie di buttarla in caciara: “Chiederò al sindaco di mandare al rogo le pubblicità dei maschi forniti di criniera leonina: mi sento discriminato nella mia calvizie. E quelle che reclamizzano oggetti di lusso, perché anche la visione di una fuoriserie fa sentire inadeguato chi non è in condizioni di permettersela”. Purtroppo non abbiamo notizie della calvizie e del portafoglio poco imbottito come malattie sociali con esiti letali. E qualcuno dei seguaci di Porro ha giudicato la gramellinata “divertente”.
I giornalisti sono l’ogm dei fatti: questi vengono quasi sempre piegati per portarli verso una parte invece che un’altra. Purtroppo il laboratorio in cui avviene la gestazione non è sterile; per cui, anche se la si comincia lastricati dell’intenzione di lasciare il mondo migliore di come lo si è trovato, càpita che la dura legge del pubblico, le ragioni degli altri e soprattutto il virus prendano il sopravvento sul rigore con cui si dovrebbe trattare un mezzo tanto delicato. E così, Porro è finito col fare la stessa cosa della pubblicità, spingere all’anoressia cerebrale chi lo ascolta.