“È un’illusione pensare che l’acqua che sgorga dalla montagna arrivi al nostro rubinetto senza alcuna infiltrazione. Per questo ci vuole il cloro. E nel nostro caso il cloro è semplice: bisogna ragionarci su”. È questa la chiave che lo storico Aldo Giannuli fornisce del suo ultimo libro (Come i servizi segreti usano i media, ed.Ponte alle Grazie), dove analizza il processo di formazione delle informazioni e dunque dell’opinione pubblica.
La realtà è complessa, non sfuggente
Non è la prima volta che lo storico, specializzato in ciò che si muove “dietro le quinte” delle scelte politiche, affronta con occhio critico l’interagire di interessi e idee nel processo politico interno ed internazionale. In questo libro Giannuli parte da una semplice considerazione: la costruzione dell’informazione è un’attività multifase con molti soggetti coinvolti, ed è dunque inevitabile che sia aperta anche a chi quelle informazioni (e dunque giudizi, opinioni, ecc.) vuole manovrare in modo da evidenziare, nascondere o addomesticare la realtà. La quale non viene però, avverte Giannuli, a scomparire dietro una sorta di velo di Maya che ci impedisce di conoscerla.
Back to (geo)politics
Giannuli si dichiara apertamente anti-complottista e anti-cospirazionista: “I grandi processi non sono mascherabili” e costituiscono “la base di analisi per capire le singole notizie”. La capacità dell’operatore dell’informazione, analista o giornalista, sta nel tenere fermo questo sfondo fatto di solide e concrete realtà geopolitiche. Non ci vuole un grande dietrologo per capire che cosa implichi, in termini di interessi coinvolti, un progetto come South Stream: basta vederne il tracciato sulla carta geografica. È alla geopolitica che in qualche modo bisogna tornare contro gli eccessi di specialismo che, per esempio, fanno leggere la crisi come un fatto economico agli economisti e come un fatto politico-militare agli strateghi, mentre è dall’intreccio dei due piani che se ne coglie la complessità. Nei primi giorni della rivoluzione tunisina, un esponente del gotha mondiale convenuto a Davos ebbe a dire che la ripresa aveva bisogno di un corso stabile del petrolio, messo a rischio da “shock esterni” come le rivolte del pane nel Maghreb. Ma quelle rivolte erano tutte interne alla fiammata inflazionistica causata dagli interventi di stimolo post-crisi, altro che “esterne”, afferma Giannuli.
Il caso siriano
Il cumulo di informazioni produce, in modo sempre più complesso e stratificato, giudizi politici. È inevitabile purché, esercitando il raziocinio, il giudizio sia equilibrato e sfaccettato, consapevole della complessità degli interessi in gioco. Che ci sia una infowar in corso in Siria, per esempio, è innegabile. Come spiegare altrimenti, si chiede Giannuli, la presenza di tanti telefoni cellulari non intercettabili, pronti a trasmettere quello che succede in ogni punto di un Paese che era tra i più chiusi alle tecnologie informatiche? Ma lo scontro non è solo mediatico, la posta in palio è reale. Il singolo episodio (questa o quella strage, questo o quel bombardamento) può anche essere “costruito”, ma non lo è la rottura degli equilibri etnici che reggeva uno dei Paesi più complessi dell’area, la cui esplosione preoccupa perfino Israele. Va dunque respinta tanto l’ingenua pretesa che non ci siano manipolazioni quanto l’esagerata (specie da parte russa) sottolineatura di un complotto mediatico internazionale.
La scivolata dei servizi sulla Libia
“Piaccia o no, nel Medio Oriente contiamo meno che in passato”, dice lo storico, “e di una politica per il Mediterraneo non vedo traccia”. La Libia è stata dunque una sconfitta (gradita, in un certo senso, visto il carattere dittatoriale del regime di Gheddafi) per i nostri servizi, che non sono stati in grado di anticipare le mosse anglo-francesi, di capire l’orientamento neutrale dell’etnia maggioritaria e di prevedere lo sfaldamento del sistema di potere di Tripoli. Forse per pigrizia, non si è stati in grado di rileggere la storia e vedere nelle trasformazioni sociali attorno al porto di Bengasi la miccia per il ritorno di un antico ribellismo cirenaico, di cui pure come potenza coloniale avevamo avuto esperienza diretta. Siamo ora di fronte al maggiore cambiamento epocale dopo il crollo del comunismo in Europa orientale (1989), ma con l’aggravante che “dopo vent’anni di diseducazione non abbiamo prodotto una classe politica di ricambio”.
Inefficienze di sistema
Gli ultimi sferzanti giudizi Giannuli li riserva ai primi accenni di campagna elettorale “da brividi”, tra un Pd che accoglie montiani tiepidi e antimontiani scatenati, un Monti con un’agenda in cui non c’è un’idea-forza, un Berlusconi che cambia idea ogni sei ore, gli arancioni che propongono alleanze ora al Pd ora a Grillo, come se fossero la stessa cosa… Insomma, emerge oggi tutta l’impreparazione di “una classe politica di dilettanti”, su cui dovrebbe ricadere l’incombenza di elaborare una strategia geopolitica coerente, e perfino di riformare i servizi, se possibile, perché “le antenne italiane non sono tutte sintetizzate sulla stessa emittente” e anche in questo mondo delicatissimo ci sono varie “stazioni” e varie “cordate”.
Viene da chiedersi, nota personale, se Giannuli intenda che ci sono troppi centri nevralgici, troppo frazionismo per una media potenza come l’Italia. Certo il giudizio sulla riforma dei servizi del 2007 è negativo. Essa si è limitata a creare “ulteriori schermi e una legittimazione anche ad operazioni illegali”, ma non ha inciso nel merito e nell’operatività.