Sono passati 36 anni dall’ultimo intervento militare in Turchia e le modalità sono state le stesse di quelle applicate in precedenza e che Edward Luttwak scolpì nel suo “Strategie di un colpo di stato“, anno di grazia 1968: controllo della televisione, presenza nelle strade, blocco degli aeroporti e delle vie principali. Poiché nel frattempo è arrivato internet (che nasce da un progetto del Pentagono: ricordate?), Erdogan è riuscito a superare l’embargo comunicativo con il suo smartphone, incitando la gente a scendere in piazza.
Non penso affatto che il colpo di stato sia fallito a causa dell’opposizione popolare ma di qualche altro meccanismo che si sarà inceppato. In tutto il mondo in queste ore il dibattito ferve. Il golpe è la negazione della democrazia. Giustissimo. Ma che democrazia è quella in cui se non vinci le elezioni, ritorni alle urne dopo aver chiuso giornali e tartassato le opposizioni, ribaltando il risultato?
I rimedi molto spesso sono peggiori del male. Anche questo è sacrosanto. Ma siamo alla presenza di un regime ambiguo, non solo nei riguardi dei diritti umani (altra invenzione ideologica da contestualizzare e sulla quale riflettere) ma sopratutto nei confronti del terrorismo e della criminalità.
L’eventuale entrata della Turchia renderà l’Unione Europea ancora più fluida e coesa? Ieri notte, una parte dell’esercito ha inteso rievocare i principi di Atatürk, di fronte ad una islamizzazione che è ormai evidente e per nulla strisciante. I generali ribelli sono stati sconfitti, ma non per questo significa che siano loro gli intestatari di tutti i torti.
Oggi siamo di fronte ad una crisi così evidente, che paradossalmente anche i golpe possono rappresentare una rinascita della democrazia? Probabilmente, nelle democrazie occidentali sostanzialmente mediatizzate è più semplice sostenere le cosiddette rivolte popolari (come le rivoluzioni arabe) che un “arcaico” intervento militare. E avrà pure contato qualcosa la partecipazione della Turchia alla NATO del dopo guerra fredda.
Piste di lettura anche queste, per interpretare un nodo, come quello turco, sempre più essenziale negli equilibri di questo tempo.