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Lello Bozzo: giornalista, liberale e gentiluomo

Di Paolo Peluffo

Quando all’improvviso, appena assunto come giornalista al Messaggero, venni destinato – pur se filosofo, appassionato di storia – all’economia, ebbi un momento di sconforto. Fu Lello Bozzo, che per me è stato come un fratello maggiore, a darmi coraggio, a dirmi che quella era la mia vera occasione, che solo l’economia era la chiave per capire le dinamiche della storia contemporanea, e di stare tranquillo che mi avrebbe aiutato a scrivere i miei primi pezzi.

Lello Bozzo mi consigliò di chiedere di seguire i vertici monetari internazionali. Ci trovammo insieme nei primi viaggi da inviati al Fondo monetario internazionale. E in quei viaggi mi resi conto che, pur essendo allora convinto di avere un orientamento politico di sinistra, alla fine mi trovavo davvero bene solo con Lello, un liberale vero, mai acceso, mai liberista sfrenato, ma prudente, all’antica, abituato a star bene in minoranza, quanto tutti si accendevano come fiammiferi, e che in minoranza sarebbe stato, tutto sommato per scelta, fino all’ultimo, anche quando, in certi momenti, le sue idee sembrarono prevalere.

Non era così. Anche lui osservava con ironia gli avversari di un tempo correre disperatamente a farsi accreditare, dai nemici di un tempo, oltreoceano. Avrebbe fatto volentieri il corrispondente, e non lo fece. A Lello Bozzo piacevano gli Stati uniti. Piaceva la classe dirigente americana, come gli piacevano i britannici, la loro dimensione non comunitaria. I tedeschi li lascio volentieri a te, mi diceva scherzando. A Washington condividevamo rituali da inviati della carta stampata di un tempo: scendere a Washington Harbour sul Potomac, prenotare al tramonto un tavolo da Tony and Joe, ordinare l’alligatore fritto con rafano, una volta l’anno; cercare nei negozi le cravatte verdi, repubblicane, di James Baker. D’inverno quante volte aspettammo al freddo gelido della stazione di Basilea, l’uscita di Ciampi, Draghi, Dini dalla cupa torre di vetro della Banca dei Regolamenti internazionali per avere notizie sugli statuti della nascitura banca centrale europea.

Era tra i pochi giornalisti giovani a parlare al telefono con Guido Carli, ministro del Tesoro, spesso, e a lungo. Fu lui a confortare Carli in una simpatia verso di me che lo condusse a propormi di scrivere le sue memorie. Era informatissimo, aveva contatti con la Tesoreria di Stato americana. Conosceva il mercato finanziario, e non gli piaceva. Lello Bozzo ebbe qualche volta la possibilità di accedere al potere, e se ne ritrasse. Aveva una conoscenza precisa dei rischi, del turbamento, della confusione, dell’ambiguità che il potere comporta, e scelse sempre di stare vicino alla famiglia. Osservava gli amici, quelli che si erano lasciati tentare, affannarsi, ma ugualmente li consigliava, li informava, come un fratello maggiore.

Era un uomo elegante, gentile, di uno stile oggi perduto, ma raro anche alla fine degli anni Ottanta.

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