È tempo di bilanci per i due ex comandanti dell’Isaf in Afghanistan. Entrambi usciti di scena in modo abbastanza clamoroso (l’uno per contrasti con la Casa Bianca, l’altro per uno scandalo), Stanley A. McChrystal e David Petraeus hanno segnato la presenza militare Usa nel Paese centroasiatico dal 2009 al 2011.
Generali in Afghanistan
Se consideriamo la situazione in questo teatro negli anni immediatamente precedenti, ci rendiamo conto del grado di successo riportato da questi due abili generali. A partire dalla fine del 2005 le regioni del Pakistan confinanti con l’Afghanistan (in particolare la provincia del Waziristan) cominciano a sviluppare centri di guerriglia filotalebana molto attivi. Gli attacchi dell’esercito pakistano per stanarli e distruggerli si susseguono, rischiando di alimentare una guerriglia a carattere etnico e di far crollare il fragile equilibrio politico di quella che resta a tutt’oggi l’unica potenza nucleare islamica (e alleata degli Stati Uniti). Con gli occhi di allora, era molto probabile assistere a un’insorgenza islamica, una sorta di jacquerie anti-occidentale a media intensità, alimentata direttamente o indirettamente da frazioni degli apparati di sicurezza pakistani. Il 27 dicembre 2007 l’attentato a Benazir Bhutto ha segnato uno spartiacque, accelerando la dinamica di scontro sul terreno. In quella fase non era raro sentire e leggere di ipotesi di commissariamento politico-militare Usa dell’alleato pakistano, rientrate poi gradualmente con le dimissioni di Musharaff nell’agosto 2008. Sono anche gli anni in cui George W.Bush completa la manovra di avvicinamento all’India, e l’orientamento filoindiano del primo Obama conferma il significato regionale (più che globale, anticinese) di un’alleanza con Nuova Dehli che ha dato una solida base geostrategica alla stabilizzazione afghana, anche per l’assenza di interessi russi a sfruttare le contraddizioni della presenza Nato nell’area.
Un nuovo modo di combattere
Il contesto non è però tutto, le persone possono fare e fanno la differenza. Il comandante dell’Isaf nel 2007, per esempio, finì sotto accusa da parte degli alleati atlantici per aver condotto la grande offensiva nella provincia meridionale dell’Helmand più come operazione angloamericana che come intervento internazionale. E se l’alleanza indostatunitense ha rafforzato la posizione di Washington rispetto alle oscillazioni di Islamabad, è stata la gestione corale della Nato a dare forza a una strategia di cui Petraeus e McChrystal sono i massimi interpreti. Il nome di questa strategia è: controinsurrezione. Una prassi che l’esercito americano ha cominciato ad abbozzare in Vietnam, con tutti gli svantaggi di non avere un passato imperiale, anzi albergando un sentimento anticoloniale che, pur nobile, rende più rigide e meno flessibili le scelte operative dei militari. I quali non possono prescindere dal carattere nazionale, di cui anzi sono imbevuti al massimo livello. Ecco perché l’Iraq è stato un test fondamentale, la prima vera prova del fuoco di una tattica da potenza con aspirazioni e dimensioni imperiali nel XXI secolo.
Due libri
“The insurgents – David Petraeus and the plot to change the american way of war” (Gli insorti – David Petraeus e la congiura per cambiare il modo americano di combattere), scritto da Fred Kaplan del New America foundation promette di restituire gloria e profondità politica alla vicenda di Petraeus, finita in sordina (o peggio) a causa dell’affaire con la sua biografa.
Contemporaneamente, è stata annunciata in America anche l’autobiografia di McCrhrystal (“My Share of the Task”), anche se ci sono ritardi e speculazioni sulla data della sua pubblicazione. Mentre il primo è stato prevalentemente uomo d’azione, il secondo ha dedicato grande spazio anche alla costruzione di un modo meno militare, più “imperiale”, per gestire le situazioni di occupazione.
Una vita nelle forze speciali
Stanley Allen McChrystal ha 58 anni, è uscito dall’Accademia di West Point a 22 anni, e il suo primo incarico è stato con l’82a divisione aviotrasportata, una delle unità più efficienti e combattive dell’esercito Usa. Il suo primo comando è stato nel VII Gruppo di forze speciali, che negli anni Ottanta hanno svolto un ruolo decisivo nelle vicende latinoamericane nel triangolo Honduras-El Salvador-Nicaragua in funzione anticomunista. Un’altra unità che ricorre nel suo cursus honorum è il 75° Reggimento Rangers, che ha comandato dal 1997 al 1999: si tratta delle forze speciali leggere della fanteria, anch’esse impiegate nelle operazioni caraibiche degli anni Ottanta (Grenada 1983, Panama 1989). Ma è stato in Medio Oriente che McCrhystal ha portato la sua esperienza diretta come comandante del Joint Special Operations Command (Comando Congiunto delle Operazioni Speciali o JSOC), l’ente che coordina le attività delle forze speciali in Iraq, Afghanistan, Pakistan e Yemen.
Il Patton del XXI secolo
David Petraeus, 60 anni, ha avuto il suo primo comando nel 509° Reggimento di fanteria (paracadutisti). Una delle unità cui è maggiormente legata la sua carriera è la 101a divisione aviotrasportata, le “Screaming eagles”, la formazione in cui è forse compendiata al meglio la storia militare Usa dalla Normandia all’Iraq. Qui la sua azione su Baghdad con la 101a (aprile 2003) ha portato alla conquista della città e la caduta dell’avamposto del regime baathista. Non è un caso dunque che nel 2007 Bush jr abbia affidato a Petraeus il comando di tutte le forze di occupazione in Iraq. È un segno dei tempi che l’irruento e granitico ufficiale temuto e rispettato dalla truppa sia diventato poi comandante della Cia, fino ai recenti scandali. È quel legame tra impeto del braccio e riflessione strategica che la storia militare americana ha sempre inseguito, da Patton a McArthur.