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Come sarà il 2013 secondo Ian Bremmer di Eurasia Group

La Cina è più instabile e pericolosa, l’Europa più solida e tranquilla, mentre l’Iran potrebbe guadagnare un altro anno di trattative nella lunga partita con l’Occidente. Sono questi alcuni dei responsi di “Top Risks 2013”, l’annuale pubblicazione online dell’Eurasia group sui rischi della geopolitica in un mondo “a somma zero”.

Termometro del globalismo Usa

Eurasia Group, fin dal nome, evoca l’interesse per l’area prioritaria della geopolitica classica, l’Heartland, la zona centrale della massa continentale eurasiatica il cui controllo consente alle potenze marittime insulari (anglosassoni) il dominio globale. Non a caso, è stato elaborato per la prima volta dall’inglese Mackinder. Si può dunque parlare di “globalismo” che, per il fondatore del think tank Ian Bremmer equivale a uno “G-zero”, un mondo senza gerarchie di potenze consolidate, estremamente fluido e volatile. E in cui gli Stati Uniti devono drizzare le antenne e misurare le loro forze con l’obiettivo di mantenere un minimo di stabilità. Di qui la necessità di dare indicazioni chiare e nette, per evitare di disperdere le forze. Non sorprende dunque che per Bremmer “il singolo conflitto geopolitico più importante e pericoloso all’orizzonte del 2013” sarà quello sino-giapponese, e in generale nell’Asia orientale. Si tratta di una valutazione in accordo con la linea Obama-Clinton di ritorno in Asia.

Pericolo emergenti

Alcune analisi di Bremmer sono sorprendenti, altre lasciano aperta la riflessione per un dopo che è, in realtà, abbastanza vicino.

In primo luogo per Bremmer i mercati emergenti cominciano a segnare il passo. Non tanto dal punto di vista economico, quanto da quello della governance politica. Si tratta di un gruppo di Paesi che ancora non hanno superato quella soglia che li rende effettivamente maturi e pronti a fornire stabilità al sistema-mondo, piuttosto che a consumarla: Indonesia, Tailandia, Arabia Saudita, Egitto, Iraq, Perù, Sud Africa rientrano in questa categoria. Vi rientra anche l’India, in cui il frazionismo politico e regionale rallenta la spinta per le riforme, e lo farà ancora di più se le elezioni verranno anticipate alla fine di quest’anno. E anche la Cina è un gigante instabile, minato dalla guerra all’informazione 2.0 e con un sistema economico opaco e poco favorevole agli investimenti esteri. In condizioni migliori di governance sono giudicati l’Oman, gli Emirati arabi uniti e la Turchia, in gran parte grazie ad anni di “riforme strutturali come parte di un processo di adesione alla Ue che non sarà mai realizzato”.

Un nuovo acronimo: i Jibs (Japan, Israel and Britain)

Come in economia si parla di Bric (sigla cui Bremmer attribuisce scarsissima consistenza geopolitica), così anche la geopolitica ha i suoi acronimi. Bremmer ne ha coniato uno per tre Paesi apparentemente lontani e distanti ma con lo stesso pattern. Giappone, Israele e Gran Bretagna condividono una relazione speciale con gli Stati Uniti che sta perdendo di significato, ai margini geografici e politici di importanti blocchi regionali (Asia, Medio Oriente ed Europa) e con vincoli domestici di tipo politico, sociale e storico che li rende poco adatti a intervenire in modo costruttivo sui cambiamenti in corso in queste aree. A differenza di Israele, ingessato da questi vincoli, la Turchia ha avuto un corso molto più dinamico, in grado di prendere rischi, senza tra l’altro perdere l’alleanza Usa. Una notazione non di poco conto, in un Medio Oriente in cui la tensione sunnita-sciita “non può essere contenuta”. Non è tanto all’Iran che guarda Bremmer, ma all’Iraq. È qui che si giocherà la partita di un’unione statale sempre più “improbabile” con i curdi intenti perseguire l’autonomia nel Nord del Paese.

L’Europa: avanti piano, ma avanti

L’Europa è uscita dalla fase di crisi rafforzata. Bremmer rifiuta le analisi catastrofiste sull’euro e sulla tenuta dell’Unione europea. Ritiene anzi che la prova di tenuta sociale dei Paesi Ue nel corso di tre anni di crisi economica, con misure che sarebbero state devastanti in qualsiasi altra regione del mondo, consegnino al mondo l’immagine di un’Europa bastione di stabilità. Le elezioni in Italia potrebbero portare “un Parlamento frammentato, con partiti populisti anti-austerità presenti in forze”, riproponendo rapporti difficili tra il governo nazionale e le autorità europee. In Germania, nonostante la riluttanza a pagare per gli errori dei Paesi periferici, il sostegno all’eurozona “rimane forte nel governo e nell’opinione pubblica”. Questa Unione europea, nota Bremmer, “sta generando un forte consenso interno sulla necessità di un nuovo grande pacchetto di cooperazione transatlantica”. È un’opzione che gruppi politici americani possono impugnare in concorrenza con la Transpacific-Partnership (Tpp). È anche, in chiave globalista, una possibilità di sbloccare i negoziati per la liberalizzazione del commercio fermi al Doha Round della Wto.

Oltre questo orizzonte, caratterizzato da una grande prova di stabilità, qualche ombra emerge nel breve periodo (2014-2015) con i referendum per l’indipendenza di Scozia e Catalogna. In generale, tuttavia, il pericolo di un radicalismo politico in Occidente è stato, secondo Bremmer, ampiamente sopravvalutato.

www.eurasiagroup.net/pages/top-risks-2013

 



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