Il Giappone si rimpicciolisce. A volte la scala temporale di un cambiamento è tale che è difficile osservarlo e rendersi conto che sta accadendo davvero, ma il crollo demografico giapponese, un calo ormai verticale, ha raggiunto il punto che gli urbanisti nipponici si trovano a dovere pianificare non per la crescita delle popolazione—il caso che a noi sembra normale—ma per il suo restringimento. Devono decidere se chiudere strade che non saranno sufficientemente trafficate in futuro e cosa fare dei palazzi e case rimasti vuoti; devono scegliere le linee degli autobus da sopprimere e perfino come gestire gli orsi e i cinghiali che tornano nei centri una volta abitati dall’uomo.
La popolazione ha toccato il picco di 128 milioni nel 2010. Da allora, secondo il censimento dell’anno scorso, ha perso circa 900mila unità. La dinamica in corso porterà il Paese a perdere all’incirca un terzo degli abitanti—40 milioni di persone—entro il 2060. Il buco non non potrà colmarsi con l’immigrazione, ancora meno accetta nel Giappone che in Occidente. La causa di tutto ciò—che spesso per eleganza viene descritto come un calo della fertilità – è, almeno in superficie, estremamente semplice. I giapponesi hanno smesso di desiderarsi. Per dirlo come si mangia, in un numero crescente dei casi, non fanno più sesso: il che, per forza delle cose, pone un limite alle nascite. Il fenomeno, molto marcato, ha anche un nome: “sekkusu shinai shokogun”, la sindrome del celibato. Lo dice in maniera più sterile e pacata la Japan Family Planning Association in una ricerca che indica come il 45% delle giovani giapponesi all’apice dell’età riproduttiva tra i 16 e i 24 anni “non sono interessate o sono disgustate dai contatti sessuali”. Circa un quarto dei coetanei maschi la pensa alla stessa maniera. Lo scostamento tra i due dati dev’essere fonte di una certa tensione ghiandolare/sociale nel Paese.
Un’indagine governativa non freschissima – è del 2011 – aveva già trovato che il 61% dei celibi e il 49% delle nubili in età compresa tra il 18 e i 34 anni non aveva alcuna “relazione sentimentale” in corso. Un altro studio, dell’assicurazione Yasuda Life, riferisce che quasi un terzo dei giapponesi celibi sotto i trent’anni non è mai uscito con una donna. Vengono additati i soliti sospettati: i videogiochi, la pornografia, la stagnazione economica, la “vita d’oggi” e il declino dell’istituzione del matrimonio. C’è perfino chi trova la spiegazione nei frequenti terremoti che affliggono il Paese. L’incertezza “geologica” creerebbe un senso di precarietà che forse impedisce di volere mettere su famiglia. Comunque sia, il Japan Institute of Population and Social Security comunica che fino al 90% delle giovani giapponesi si domanda se non sia preferibile la vita da single rispetto al matrimonio. Le giapponesi oggi ventenni hanno una probabilità su quattro di non sposarsi mai, mentre la probabilità che non avranno figli è ancora più alta, il 40%. I mass media del paese sono più inclini a dare la colpa alla scarsa prestanza dell’attuale generazione dei maschietti, poco intraprendenti, che stigmatizza come “erbivori”: giovanotti né etero né omosessuali, solo non interessati al sesso. Interpellati, tendono a rispondere che sì, le donne possono essere attraenti in via teorica, ma che i rapporti “coinvolgenti” sono troppo complicati – e faticosi – da affrontare