Continua, nei sondaggi e sui media, il momento no di Donald Trump che, da una parte, paga caro le provocazioni lanciate in campagna elettorale, ma, dall’altra, continua ad affascinare una fetta d’americani. I media più autorevoli, come New York Times e Washington Post, dichiaratamente schierati contro lo showman, s’interrogano su quello che definiscono il suo rapporto con la verità, riesumando anche una controversa testimonianza in una causa giudiziaria nel 2007.
Mercoledì sera, un ragazzo di vent’anni ha dato la scalata alla Trump Tower, sulla Quinta Strada, nel cuore di New York, perché voleva attirare l’attenzione del magnate, che non era in città, e riuscire a parlargli: la polizia lo ha bloccato e arrestato all’altezza del 20° piano, davanti a una folla di curiosi e soprattutto giornalisti creatasi per seguire l’impresa.
Secondo l’ultimo sondaggio Ipsos, un elettore repubblicano su cinque è favorevole a che Trump abbandoni la corsa alla Casa Bianca e quasi due elettori su cinque, il 44 per cento, complessivamente lo auspicano. L’ipotesi resta altamente improbabile, ma le perplessità sulla candidatura del magnate hanno riflessi sulle intenzioni di voto.
La sua rivale democratica Hillary Clinton ha ampliato il proprio vantaggio in tre Stati chiave, l’Ohio (43 a 38 per cneto), lo Iowa (41 a 37 per cento) e la Pennsylvania (48 a 37 per cento), secondo un rilevamento Nbc/WSJ/Marist. In tutti e tre gli Stati, Hillary è messa ora meglio che prima delle convention, mentre Trump sperava che la scelta del suo vice, Mike Pence, governatore dell’Indiana, potesse smuovervi le acque a suo favore.
A livello nazionale, il sondaggio Monmouth dà la democratica 12 punti avanti al repubblicano, 46 a 34 per cento. E la media dei rilevamenti della Cnn, che tiene conto di sei polls nazionali, dà Hillary al 49 per cento e Trump al 39 per cento – prima delle convention, Hillary era avanti di quattro punti – . Per la Bloomberg, che guarda soprattutto all’impatto del piano economico presentato in settimana dallo showman, Trump è sotto di sei punti, 44 a 50 per cento.
Il candidato repubblicano prosegue nella sua tattica, che appare un comportamento congenito: fa affermazioni, spesso non fondate, che suscitano reazioni indignate e titoli critici e poi le corregge, senza però smentirle. Il passaggio del suo discorso a Wilmington, North Carolina, in cui pareva incitare a usare le armi contro la Clinton è stato quasi unanimemente stigmatizzato, ad esempio dalla famiglia di Martin Luther King, una vittima della violenza politica negli Stati Uniti.
Lui ha allora spiegato che voleva semplicemente incoraggiare i sostenitori del diritto a possedere e portare le armi perché s’impegnino di più in politica e ha al solito scaricato la colpa sui media, che “fanno di tutto per attirare l’attenzione” – come se non lo facesse pure lui – . “Quello che ho detto – scrive su twitter – è che i cittadini sostenitori del Secondo Emendamento devono organizzarsi e votare per salvare la nostra Costituzionale”.
Trump ha più volte attaccato la rivale, sostenendo che vorrebbe abolire il Secondo Emendamento, mentre la Clinton vuole solo introdurre controlli più stringenti sulla vendita delle armi. La tattica del magnate è di fare affermazioni non verificate, e talora senza fondamento, ma che vanno incontro al comune sentire delle fazioni più conservatrici e meno acculturate del suo elettorato. Come quando accusa – e lo ha appena ripetuto in Florida – Hillary Clinton e il presidente Obama di essere i fondatori del sedicente Stato islamico.