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Come cambierà la corporate governance delle quotate inglesi con Theresa May

mercati, Theresa May, Brexit, Gran Bretagna

In uno dei primi speech di Theresa May subito dopo il voto sulla Brexit, la premier inglese ha promesso una profonda revisione della governance delle società quotate inglesi, promettendo nella capitale finanziaria d’europa un cambiamento radicale delle regole di governance volta a rafforzare il controllo degli stakeholder sull’operato dei manager.

I punti cruciali del cambiamento sono sostanzialmente riconducibili a:

-voto annuale vincolante sulla politica di remunerazione

-rappresentanza dei lavoratori e dei consumatori in seno ai consigli di amministrazione.

-introduzione del pay ratio, per contrastarel’aumentodella media delle retribuzioni dei top manager in Gran Bretagna

Il programma del nuovo premier inglese per quanto innovativo sotto il profilo del miglioramento delle practices di corporate governaceha sollevato anche numerosi dubbi e perplessità tra gli operatori britannici.

In primo luogo il voto annuale  vincolante sulla politica di remunerazione, che non rappresenta certo un innovazione epocale, essendo già previsto nel nostro paese per le banche. Tra l’altro l’analisi dei risultati assembleari italiani del 2016 registra un supporto pari al 96% per Intesa San Paolo, 92,6%per Unicredit e 87,3%per MPScontro una media di mercato del 73,3%. Questi datisembrano confermare che il voto vincolante produce una maggiore responsabilizzazione degli azionisti, più restii ad esprimere un voto contrario rispetto alle società nelle quali il voto è meramente consultivo.

Sul punto si potrebbe anche osservare che l’attuale sistema inglese con il voto triennale vincolante ha sicuramente l’indubbio merito di allineare maggiormente la remunerazione del management con le tempistiche dei piani industriali aziendali che per ovvie ragioni rendono impossibile modifiche sostanziali annuali degli obiettivi. Il voto annuale consultivo ha potenziato il monitoraggio degli azionisti rispetto all’effettivo raggiungimento dei risultati da parte del management a fronte del pagamento dei compensi.

Il secondo punto riguarda la presenzain seno al consiglio di amministrazione di rappresentanati dei lavoratori e dei consumatori, seguendo l’esempio francese o la codeterminazione tedesca. In Italia nessuna società del FTSE Mib, incluse quelle che hanno adottato il sistema dualistico, hanno previsto una rappresentanza dei lavoratori.

Il tema merita profonde riflessioni sia di principio che applcative. Infatti da un lato la rappresentanza degli stakeholder all’interno del board garantisce una mitigazione dei diversi interessi e dall’altro pone seri problemi applicativi sulle modalità di selezione dei rappresentantidelle categorie.

Al problema applicativo se ne aggiungonoalmeno  due di natura teorica.  Utilizzando i dati dell’OecdFactbook del 2015 emerge che nessun paese extra UE prevede una rappresentanza di lavoratori nel consiglio di amministrazione e inoltre che tra i 12 paesi dell’EU che adottano tale sistema, la rappresentanza dei lavoratori è limitata al consiglio di sorveglianzasoltanto in Germania, Austria eSlovacchia(un organo ben diverso dal board previsto nel modello monistico delle società inglesi).

Infine, l’ultimo tema è quello delCeopay ratio introdotto dalla SEC , ovvero la disclosure della differenza esistente tra la retribuzione del Ceo e la media del compenso percepito dai dipendenti, che teoricamente attraverso l’aumento della trasparenza potrebbe rappresentare un passo positivo verso la riduzione dei gap remunerativi ed una maggiore responsabilizzazione dei board, dei comitati remunerazione e delle funzioni di HRnella definizione delle pratiche remunerative e nella riduzione di situazioni abnormi di sperequazione.

Da una ricerca dell’high pay center relativa alle società del FTSE 100 emerge che il differenziale nel 2015 è stato147:1. Negli Stati Uniti lo studio di un analogo centro di ricerca nel 2014, dimostrava come nel periodo tra il 1996 e il 2013 vi era stato un aumento retributivo dei Ceo pari al 1000% con società CBS Corp, nelle quali il pay ratio raggiungeva il rapporto 395:1 o di 367:1inWalt Disney, con somme pari rispettivamente a $56,352,801 e $43,490,567, distanti anni luce dalla retribuzione dei Ceo nelle maggiori società Italiane .

Tuttavia nonostante il nobile obiettivo della proposta occorre osservare che delle critiche sono state avanzate da parte della comunità finanziaria che vede il tema come un costoso esercizio per le società che non cambierebbe il risultato finale, poiché l’interesse primario degli investitori non è certo la rimozione delle disuguaglianze ma bensì la massimizzazione dei profitti.

 



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