Secondo alcuni analisti sarebbe in corso una “guerra fredda cibernetica” contro gli Stati Uniti, scatenata non da una potenza regionale come l’Iran ma da due grandi potenze come Cina e Russia. E il 2013 potrebbe segnare una vera e propria escalation, non sui campi di battaglia, ma negli spazi virtuali.
L’attenzione dell’amministrazione Obama a questo tipo di scenario è nota. Al Pentagono il segretario Panetta è stato uno dei principali sostenitori delle guerre elettroniche. Si tratta di un cambiamento di paradigma paragonabile a quello che trent’anni fa motivò la politica spaziale-militare di Ronald Reagan.
Sulla possibilità di un anno di guerre cyber si dividono tuttavia anche gli stessi operatori del settore. Alcuni sono pronti a scommettere che le reti infrastrutturali saranno attaccate “su una scala senza precedenti” (secondo il Ceo di Top Patch). Si potrebbe anche verificare il primo caso di morte causata indirettamente da attacchi cibernetici, secondo la società Iid, leader mondiale nell’anti-phishing. McCaffee, il colosso degli antivirus, ha pubblicato un report molto fosco sull’intensificarsi della guerra cibernetica nel 2013. Il 2012 d’altronde è stato caratterizzato da episodi gravi e senza precedenti, che hanno coinvolto banche americane, la compagnia saudita Saudi Aramco, la Epsilon e la Sony.
Sembra d’altra parte che diminuisca il seguito e la pericolosità di Anonymous, il gruppo collettivo di hacker che fino a qualche tempo fa era la principale preoccupazione delle aziende. Non è necessariamente una buona notizia, quando gruppi anarcoidi e idealisti lasciano il campo può voler dire che lo spazio verrà occupato da armate ben organizzate e pronte al combattimento, con apparati statali alle spalle, meno ideali e più interessi da difendere.
D’altronde non tutti sono concordi sulle previsioni pessimistiche. Il capo della divisione di sicurezza della Verizon, Wade Baker, è tra i più scettici su una guerra globale cibernetica, anche se non la esclude. Semplicemente ci si potrebbe chiedere perché mai Cina e Russia dovrebbero attaccare le infrastrutture critiche, per esempio le reti energetiche, degli Stati Uniti. Non si tratta di potenze in stato di guerra cibernetica con gli Usa come l’Iran. È vero, potrebbe verificarsi un aumento della tensione con gli Stati Uniti su molti capitoli (economici, monetari e geopolitici), ma questo è un dato
storico ricorrente in questo triangolo, che però, per definizione, non è mai chiuso, ma coinvolge sempre qualche altro alleato potenziale. Inoltre, sia Mosca che Pechino intendono la infowar più come conflitto di influenza che come scontro di tecnologie. In pratica, la posta in palio non sono i nodi e i router, ma la costruzione di un’immagine positiva del proprio Paese e dei propri sistemi valoriali, funzionale a veicolare interessi economici e culturali.