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Cosa fa l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco)

Di Luca Pani

Il ripensamento dei modelli di assistenza sanitaria occupa ormai l’agenda politica dei principali governi occidentali, mettendo in luce l’inadeguatezza di paradigmi pensati per un mondo che è ormai definitivamente alle nostre spalle. C’è chi riconsidera criticamente l’impostazione culturale e ideologica del proprio sistema sanitario (come avvenuto negli Stati Uniti con l’Obama care), c’è chi, pur mantenendosi fedele alla propria tradizione, avverte l’irrevocabilità del cambiamento in atto e la necessità di adottare idonee strategie d’azione.

L’invecchiamento demografico, la prevalenza crescente delle patologie croniche, il riemergere minaccioso delle malattie infettive e il fenomeno sempre più allarmante della resistenza batterica agli antibiotici impongono ovunque una revisione radicale delle priorità di salute, delle politiche e della programmazione sanitaria. La scienza sta inoltre rendendo disponibili per i pazienti terapie personalizzate e farmaci innovativi ad alto costo, potenzialmente in grado di modificare in modo radicale la gestione di alcune patologie fino alla loro eradicazione, come nel caso degli antivirali per l’epatite C. Questa realtà così complessa e intrigante rappresenta a livello globale una delle più grandi sfide per i prossimi decenni.

Un punto fermo per l’Italia è il Servizio sanitario nazionale, che ha pochi eguali in tutto il mondo per la sua vocazione di garantire a tutti gratuitamente l’assistenza e le cure fondamentali. La crisi finanziaria di questi anni ha messo a dura prova ma non ha scalfito questi principi. Tuttavia non è il caso di guardare al passato, né di attendere e poi rincorrere le emergenze, perché rischieremmo di prosciugare risorse che potrebbero essere meglio destinate, senza incidere in modo strutturale sul sistema.

Abbiamo evidenziato più volte, come Agenzia regolatoria, la necessità di superare il modello dei silos nell’assistenza sanitaria, riconsiderando la spesa farmaceutica in un’ottica complessiva e integrata: non un’analisi dei costi diretti sulle casse pubbliche ma una valutazione globale del valore aggiunto in termini di salute e di efficienza per il Servizio sanitario nazionale.

In questo quadro, ad esempio, il regime dei tetti di spesa farmaceutica territoriale e ospedaliera, così come è stato finora concepito, oltre a essere inadeguato, è anacronistico. La spesa farmaceutica ospedaliera da anni non è più comprimibile all’interno del tetto programmato, e anche la territoriale, con l’introduzione di farmaci innovativi dispensati direttamente dalle farmacie del territorio, si è impennata e rischia di essere definitivamente fuori controllo. Ma quali sono i benefici di queste nuove terapie in termini di ospedalizzazione, assistenza a lungo termine e gestione delle cronicità? Che impatto hanno sulla qualità della vita del malato? Queste valutazioni sono necessarie in un’ottica di pianificazione sanitaria.

Un nuovo modello è possibile e il nostro Paese è impegnato a costruirlo con la riforma in atto voluta dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, dal Patto per la salute, all’e-health, ai nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea).

Il nuovo Servizio sanitario nazionale si fonderà con ogni probabilità sull’informatizzazione dei sistemi, sull’integrazione dei dati, su nuove o rinnovate competenze professionali e sulla capacità di mettere in rete informazioni e conoscenze per razionalizzare le risorse e valorizzare le eccellenze. Senza perdere di vista, ovviamente, che l’obiettivo finale è la salute dei cittadini e che il carattere solidale e universalistico del nostro Servizio sanitario nazionale è un valore non negoziabile.

L’attenzione rispetto a questi sviluppi è trasversale e coinvolge oltre ai pazienti e ai pagatori, gli operatori sanitari, l’accademia, il sistema produttivo e gli investitori privati: interessi diversi, che possono convergere, ad esempio, in progetti di partnership pubblico-privato in cui tuttavia sia ben definito e trasparente il ruolo delle parti.

Le agenzie regolatorie hanno iniziato a farlo, sperimentando forme di inclusione degli stakeholder nel percorso regolatorio e avviando il dialogo con le imprese nelle fasi precoci dello sviluppo del farmaco, rivedendo i modelli autorizzativi e snellendo le procedure per la conduzione dei trial clinici, senza mai derogare agli standard di qualità, efficacia e sicurezza.

La sfida è allineare, per quanto possibile, i tempi dei processi regolatori a quelli sempre più incalzanti della ricerca scientifica. Con questo obiettivo le agenzie regolatorie stanno applicando meccanismi di autorizzazione adattiva (adaptive licensing) e condividendo su ampia scala strumenti quali lo Scientific advice e l’Health technology assessment (Hta).

Naturalmente il contributo del settore privato è fondamentale, per il know how specialistico, la disponibilità di database e di risorse finanziarie che possono essere mobilitati in progetti che riguardano le nuove tecnologie applicate alla salute e l’innovazione. La ricerca, specie quella innovativa, ha costi elevatissimi ma è in grado di produrre, come sta accadendo, risultati sorprendenti.

Il ruolo delle istituzioni pubbliche è anche quello di assicurare una cornice credibile e trasparente di regole e procedure armonizzate a livello internazionale per favorire investimenti che richiedono grande dispendio di risorse e di tempo, con risultati e ricavi tutt’altro che certi.

Nel settore farmaceutico l’Italia può vantare vere e proprie eccellenze: dalla qualità dei suoi ricercatori, agli elevati standard produttivi, a un sistema regolatorio solido, unico nel suo genere, per la peculiarità di coniugare le procedure di autorizzazione e le decisioni sul prezzo e la rimborsabilità, ma anche per il suo sistema di registri di monitoraggio, in grado di contribuire all’appropriatezza delle cure, alla valutazione della reale efficacia delle terapie nella pratica clinica e quindi a una maggiore efficienza del Servizio sanitario nazionale.

Luca Pani (Direttore generale dell’Agenzia italiana del farmaco, Aifa)

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