Crédit Agricole tasta il polso all’Italia per capire se quella che ci aspetta nel 2013 è una vera ripresa, e se basterà a dare un po’ di respiro alle finanze pubbliche. Le due cose sono strettamente collegate. Ecco i principali spunti forniti dagli analisti dell’istituto di credito.
Le condizioni per la crescita
Per la banca francese quattro fattori potranno determinare “una lenta uscita dal lungo tunnel della recessione” che dura da sei anni. Il primo è il segnale di tenuta europea ricevuto in questi mesi da Roma. Il secondo è la razionalizzazione fiscale che offre margini per manovre meno punitive per la crescita. Il terzo è la domanda globale che, se continuerà a livelli sostenuti, potrà trainare un export che è già cresciuto del 19% dal 2010. Il quarto è la riduzione delle scorte che va avanti da 18 mesi, arrivando a livelli vicini al 2009, il che è sufficiente per giustificare “una ripresa tecnica nel secondo trimestre del 2013”.
Questi dati vanno visti con quelli estremamente negativi della contrazione della capacità produttiva che continua a declinare dal 2011, ed è tornata ai minimi storici del 1993. Ciò significa che la base produttiva si è ristretta ma anche specializzata, che i progressi tecnici e gestionali consentono ad un numero minore di investimenti fissi di correlarsi ad una maggiore quantità di prodotto, per di più indirizzato dove è meglio valorizzato, ovvero fuori dai confini. È la trasformazione molecolare dei nostri assetti produttivi che hanno conosciuto una nuova definizione a cavallo dell’introduzione dell’euro, affermando definitivamente la segmentazione regionale e settoriale della media impresa secondo il grado di dinamismo imprenditoriale. Di questa metamorfosi in corso da un quarto di secolo, il gruppo francese è dunque testimone da un osservatorio privilegiato.
Una banca francese a trazione padana
Crédit Agricole è un termometro sensibile del sistema economico nazionale e in qualche modo anche dei suoi equilibri in quella che un tempo veniva definita “Galassia del Nord” e che oggi più propriamente possiamo chiamare “rete delle reti padano-adriatiche”: non sono più tre o quattro soggetti a dominarla, ma gruppi medi insediati in piattaforme produttive rispetto a cui l’asse Milano-Torino non esprime più leadership politica (pur mantenendo quella mediatica).
Privatizzare o non privatizzare?
Lo studio di Crédit Agricole sottolinea come le reazioni delle forze politiche italiane candidate a guidare la prossima legislatura mostrano “in quale misura esse abbiano recepito i vincoli europei e di mercato e la condizionalità”. Il corso di riduzione del debito deve proseguire sotto la vigilanza della Commissione, una vigilanza che gli analisti francesi ritengono sarà comunque comprensiva vista la struttura del debito. Tuttavia il ritorno ai livelli pre-crisi è previsto solo per il 2020, e nel 2030 saremo ancora oltre l’80% del Pil. Fondamentale è “trovare soluzioni per la dismissione o la valorizzazione degli asset pubblici”, valutati a 1.789 miliardi di euro nel 2011. La ricognizione delle opzioni sul tavolo è estremamente precisa. Da una parte c’è l’idea del Tesoro che ha individuato come cedibili concessioni (78 miliardi), partecipazioni azionarie (132 miliardi) e immobili (425). In passato, nota la banca, piani simili hanno contribuito ad una riduzione del debito pari all’1,1% del Pil. Dall’altra c’è il piano della Fondazione Astrid, che potrebbe generare 2,1% del Pil all’anno nel 2013-2017: cessione di immobili, privatizzazioni e repressione fiscale (tassazione dei capitali esportati illegalmente con un accordo con la Svizzera, acquisti obbligatori di titoli del debito a lungo termine da parte di fondi pensione di categoria, incentivi per investire in strumenti di lungo termine modulando la tassazione sulla durata del possesso). Infine, c’è un piano sotto esame del governo per valorizzare concessioni, partecipazioni e immobili che porterebbe in cassa 9,8 miliardi di euro. In questo caso non ci sono privatizzazioni. Come non ci sarebbero nel caso di un trasferimento delle aziende strategiche a Cassa depositi e prestiti, sull’esempio della Cdc francese e della Kfw tedesca. È la tipica soluzione di capitalismo continentale che “potrebbe essere usata per ridurre rapidamente nel 2013 il debito e alleviare lo sforzo strutturale necessario per soddisfare nuove regole europee”.