La preoccupante escalation di attentati terroristici che ha colpito la Francia nell’ultimo anno e mezzo ha posto le forze di polizia di fronte ad un’enorme dilemma: come gestire la detenzione dei fondamentalisti islamisti in modo da frenare l’ideologia jihadista all’interno delle carceri?
COME GESTIRE LA DETENZIONE DEI TERRORISTI?
Un articolo dell’Economist spiega come questo problema valichi i confini francesi. La Gran Bretagna, per esempio, avrebbe annunciato di recente di voler invertire la sua politica di “dispersione” dei detenuti, costruendo unità separate per i crimini legati al terrorismo. La preoccupazione era montata nel mese di agosto dopo la condanna di Anjem Choudary, predicatore islamista di origine britannica legato al Califfato, che aveva promesso di «radicalizzare tutti all’interno della prigione».
LE DIFFICOLTÀ DI GESTIONE
Il reclutamento, in un contesto come il carcere, può risultare molto pericoloso poiché i detenuti hanno accesso a un “sottobosco” di armi e violenza inimmaginabile. Questo stato di allarme è particolarmente forte in Francia, dove diversi terroristi coinvolti negli ultimi attacchi sono detenuti in prigioni nazionali. Non solo. La carcerazione musulmana è molto alta: gli islamici costituiscono, infatti, l’8-10% della popolazione francese (la percentuale esatta non è nota, poiché la raccolta di statistiche religiose è vietata) e rappresentano quasi il 60% dei detenuti, secondo una relazione parlamentare.
A confermare questi dati è Farhad Khosrokhavar, autore di un libro di prossima uscita “Le carceri di Francia”, in cui stima che la percentuale di musulmani detenuti tocchi realisticamente il 40-50%, con il 60-70% solo in alcune grandi prigioni nei pressi di Parigi.
LE CARCERI FRANCESI E IL SISTEMA DELLA “SEGREGAZIONE”
L’esperimento francese della “segregazione” di alcune tipologie di detenuti, lanciato nel 2014, coinvolge cinque unità all’interno delle carceri, una nella città settentrionale di Lille e le altre a Fresnes, Osny e Fleury-Mérogis, vicino Parigi. Proprio quest’ultimo ospita Salah Abdeslam, l’unico sopravvissuto del commando terrorista dietro gli attacchi al Bataclan dello scorso novembre. I prigionieri più pericolosi, come appunto Abdeslam, sono tenuti in isolamento: il terrorista dispone di una cella speciale sotto sorveglianza video 24 ore al giorno. L’idea di fondo è di tenere questi soggetti il più lontano possibile da altri prigionieri, e indirizzarli a programmi di “deradicalizzazione”.
LE FALLE NEL SISTEMA
Il ministero della Giustizia dice che è troppo presto per dare una valutazione a questo nuovo sistema. Ma il tentativo di assassinio a Osny a danno di alcuni sorveglianti della prigione – il primo attacco avvenuto in queste nuove unità –, non è di certo un buon segno. Secondo Le Monde, il video di sicurezza mostra i compagni di prigione di Bilal Taghi dividere tra loro grandi frammenti di specchio rotto poco dopo l’attacco. «C’è stato forse un complotto più ampio che fatalmente non ha mai avuto luogo?» Si chiede l’Economist.
«Il difetto principale – afferma Jean-François Forget, capo della UFAP-UNSA, sindacato delle guardie carcerarie – è cercare di creare isolamento in contesti che di fatto non lo permettono strutturalmente». Le unità, infatti, sono installate in prigioni al collasso per sovraffollamento. Fleury-Mérogis, per esempio, conta 4.400 detenuti per 2.340 posti. Senza contare che la disposizione di alcuni edifici rende difficile evitare il contatto con gli altri detenuti.
RISCHI INCONTROLLABILI
Tra l’altro non tutti i prigionieri sono ex combattenti omicidi. Alcuni sono stati incarcerati perché hanno tentato di lasciare la Francia per la Siria. Il rischio – secondo l’Economist – è che le unità si trasformino in campi organizzati per il jihadismo, e che portino alla creazione di reti e collegamenti, se non a comandare strutture. Contrastare questo all’interno delle mura di una prigione è difficile, senza contare che i programmi deradicalizzazione sono ancora in fase sperimentale e che nelle carceri francesi ci sono solo 178 cappellani musulmani, contro i 684 cattolici, per una popolazione carceraria totale di 68.000.
Lo scorso giugno Jean-Jacques Urvoas, ministro della Giustizia francese, aveva spiegato alla commissione parlamentare di essere a conoscenza di possibili «effetti perversi» di questo sistema.