Anche se potrebbero detenere più della metà del capitale della nuova Banco-Bpm spa, i fondi avranno un ruolo quasi marginale nelle assemblee straordinarie del 15 ottobre. Il meccanismo del voto capitario (una testa un voto) equipara, infatti, i grandi investitori internazionali ai piccoli o piccolissimi soci, sterilizzando alla radice ogni tentativo di lobbying.
Il dossier comunque è tenuto sotto stretta osservazione, non solo perché si tratta della prima aggregazione bancaria dall’avvio della vigilanza unica, ma anche perché l’esito della partita potrebbe condizionare la percezione del sistema finanziario italiano nel mondo. Tra i manager dei fondi azionisti si respira un clima di fiducia nei confronti del piano industriale presentato nella primavera scorsa da Giuseppe Castagna e Pier Francesco Saviotti, un piano che vede nel consolidamento l’unica strada percorribile per comprimere i costi e spingere i ricavi. Di quel clima di fiducia del resto ha dato prova l’aumento di capitale da un miliardo che il Banco Popolare ha dovuto lanciare prima dell’estate, registrando un risultato perfino superiore alle attese. In alcuni incontri avuti recentemente a Milano e a Londra diversi fondi avrebbero ribadito l’interesse per l’operazione, anche se da qui alle assemblee non sono previsti endorsement ufficiali.
Perfino il primo azionista di Bpm, il fondo Athena Capital di Raffaele Mincione, avrebbe sposato questa linea che dosa fiducia e attendismo. Una scelta dettata, si dice, anche da considerazioni di carattere tattico perché consentirebbe a Mincione di affrontare i due scenari possibili: o il completamento del processo di aggregazione o la bocciatura (clamorosa, ma non escludibile a priori) del deal. Non va però dimenticato che già nei mesi scorsi il numero uno di Athena si era espresso a favore del progetto: “Tra Milano e Verona ci sarebbero buone sinergie, le sovrapposizioni sarebbero poche e soprattutto sarebbe un’operazione alla pari”, aveva dichiarato Mincione proprio in un’intervista a MF-Milano Finanza. Certamente per i fondi presenti nel capitale delle due banche (vedi tabella in pagina) un voto contrario dell’assemblea meno prevedibile, cioé quella della Milano, sarebbe una sorpresa spiazzante e forse sgradevole. “Troverebbe conferma la percezione di instabilità del mercato italiano, oggi abbastanza diffusa all’estero. Un mercato condizionato più da forze di carattere politico o corporativo che da logiche di mercato”, commenta il rappresentante un grande investitore.
Oggi, comunque, l’attenzione delle due banche è tutta rivolta verso i soci, soprattutto i soci dipendenti. Il clima è particolarmente delicato alla Popolare di Milano dove i pensionati (forti di dieci deleghe) potrebbero esprimere voto contrario in assemblea. Proprio per smussare i contrasti e aumentare il consenso attorno all’operazione nei prossimi giorni partirà il road show che avrà come tappe Foggia, Roma, Bologna e Milano. Se la fusione dovesse essere confermata, anche il dialogo con i fondi sarà una scelta obbligata per il top management del nuovo gruppo. Anche per evitare sorprese come quelle avute da Ubi Banca dove, nell’assemblea della primavera scorsa, la lista presentata dagli istituzionali ha superato in consensi quella espressione dell’istituto. Una doccia gelata che le altre ex popolari dovranno sforzarsi di evitare.
(Pubblicato su Mf, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)